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domenica 22 luglio 2012

Abbiamo decisamente festeggiato!!!!

Quando abbiamo deciso di andare a cena fuori per festeggiare il mio compleanno non mi aspettavo di certo di trovarmi davanti ad una serata di quelle che rimangono impresse a lungo nella mente di un appassionato di vini, e non potrò mai smettere di ringraziare l’amico che mi ha fatto questo enorme regalo… davvero una grande sorpresa!!!
La serata era iniziata subito bene, sorseggiando come aperitivo un ottimo Blanc de Blancs di Pascal Doquet, del quale ho già raccontato in passato, ma le due bottiglie con cui abbiamo cenato… ragazzi… siamo nel Gotha dell’enologia mondiale!!!
Antipasto e primo sono stati accompagnati da un bianco di Borgogna, per la precisione da un Batard-Montrachet Gran Cru 2005 di Vincent Girardin. Come tutti i bianchi di quella zona, si tratta di chardonnay 100%... e della migliore razza!!!
Colore giallo paglierino, con una leggerissima vena dorata, limpido, luminoso, bellissimo a vedersi sul calice a tulipano.
Infilando il naso nel bicchiere sembra di trovarsi in qualche angolo sperduto delle poche coste ancora selvagge del mediterraneo: una mineralità e una salinità che si sente già all’olfatto, accompagnata da una dolcissima nota di erbe aromatiche, pesca gialla, agrumi maturi (pompelmo rosa sopra tutti), timo, rosmarino e salvia. Una miriade di sfumature tutte da ricercare e da catalogare che avrebbero richiesto ore per essere scovate tutte.
Poi l’assaggio… Incredibile come si mescolassero morbidezza burrosa e potente salinità, una mineralità che solo questa vocalissima zona della Francia sa donare allo chardonnay, ma perfettamente amalgamata ad una rotondità piacevolissima e invitante. Poi, imperiosa, la frutta gialla, pesca, albicocca, pompelmo, erbe fini, camomilla, c’era di tutto. Un vino infinito di sfumature e di sfaccettature a tutto tondo.
Eccezionale!!!
Poi per il secondo e per il “giro di formaggi” finale è arrivato lui… Senza nulla togliere al nostro fantastico bianco, trovarsi a cenare con uno Chateau Latour, il grande Chateau Latour, 1er G.C.C. di Pauillac annata 1999… Beh… credo farebbe invidia alla gran parte dei sommelier di tutto il mondo.
Ed era proprio lui!!!
Già l’apertura della bottiglia sembra un rituale magico, con la conferma dal tappo che ci saremmo trovati davanti proprio ad un assaggio memorabile. Il colore al bicchiere si presenta bello vivo, rosso/viola scuro intenso, quasi impenetrabile ma senza esagerare.
Il naso ha dentro di tutto: prugna, mora, cassis, ciliegia nera, poi tabacco, spezie, alloro, cioccolato nero… tutto in sequenza, tutto perfettamente individuabile, ma amalgamato al resto in maniera eccezionale. Intensità sorprendente, ma allo stesso tempo morbida ed elegante. Una conferma di tutto ciò che si dice e si legge di questo vino.
Poi… all’assaggio!!! Non nascondo che prendere il primo sorso di questo vino mi ha fatto vivere un piccolo momento di sospensione reverenziale. D’altronde… è uno dei migliori vini al mondo! Mostra una bella struttura, ma sorretta da tannini incredibilmente vellutati, che accarezzano palato e lingua scivolando via leggeri e morbidi. C’è frutta… tanta frutta, ancora prugna, mirtillo nero e mora, accompagnati da una spiccatissima ed eccezionale vena balsamica, quasi mentolata, ad aggiungere complessità e gamma gustativa ad un prodotto che ne ha già ben oltre alla media. Poi chiude con una nota lievemente erbacea, di alloro e altre erbe dolci, polvere di caffè e tabacco da pipa. Un grandissimo fuoriclasse!
Insomma, che ci crediate o no, in tre che eravamo non siamo riusciti a trovare un solo minimo difetto a nessuno dei due vini della serata!!!
Che fossero due prodotti praticamente perfetti??? Credo proprio di sì.
Ragazzi… Questo compleanno rimarrà sicuramente nella storia, e le due bottiglie a perenne memoria ora campeggiano a casa nostra!!!

lunedì 18 giugno 2012

La Germania da (de)gustare

Esistono territori che al grande pubblico sono poco conosciuti come produttori vinicoli, e che invece hanno delle potenzialità eccezionali (e a cercare bene, si trovano grandi prodotti che sanno ben dimostrarle). E’ il caso del vino di cui vi racconto questa volta, che abbiamo potuto stappare e gustare questo sabato sera nell’osteria di un nostro amico.
Il vino proviene dalla Germania, più precisamente dalla zona vinicola della Mosella (o Mosel Saar Ruwer, per scrivere la corretta denominazione in tedesco, che prende il nome dai tre fiumi principali che la definiscono), nella quale il vitigno nettamente predominante è il riesling. Leggendaria la longevità eccezionale dei bianchi che ne derivano, e infatti nel nostro caso ci siamo trovati davanti ad un vino di 20 anni tondi tondi che sembrava imbottigliato il giorno prima!!!
Nel dettaglio, il nostro compagno della serata è stato un RIESLING AUSLESE 1992 del produttore Alfred Merkelbach. La dicitura “Auslese” indica una tipologia che viene prodotta solamente nelle annate migliori, nella quale i grappoli più maturi vengono selezionati a mano direttamente in vigna prima della raccolta.
La straordinaria longevità di questi vini è stata dimostrata subito fin dal colore nel bicchiere: giallo verdolino, poco carico e limpidissimo. Un colore del genere me lo aspetterei da un vino messo in bottiglia da qualche settimana, non da 20 anni!!! Eccezionale.
Al naso, tutta la stupenda tipicità del riesling: profumi dolci e predominanti di idrocarburi (come battuta avevo detto che mi sembrava di infilare il naso nel serbatoio della mia auto diesel), affiancati subito dopo da una splendida gamma di agrumi, pompelmo rosa e mandarino soprattutto, poi frutta a pasta gialla, erbe aromatiche e un’infinita serie di altre piccole sfumature che avrebbero richiesto ore per essere individuate tutte. E poi, un’intensità sorprendente, quasi una ventata che sale dal bicchiere a invadere le narici, pur mantenendo una freschezza e un’eleganza da grande fuoriclasse.
Al gusto, una freschezza che non ti aspetti, limpido, cristallino, anche qui con una netta dominanza di idrocarburi fin dall’inizio; poi, col passare dei minuti sono emersi gli agrumi, mandarino, pompelmo, poi albicocca e una leggerissima vena di miele d’acacia, probabilmente dovuta agli anni passati dalla vendemmia. Splendida la vena di dolcezza che raccoglieva il tutto in maniera piacevolissima e invitante. Conclude il sorso con erbe aromatiche delicatissime e molto variegate nell’evoluzione.
Insomma, un grande vino, degno fuoriclasse rappresentante di una bellissima tipologia fuori dai classici schemi a cui siamo abituati. Vale sicuramente la pena avventurarsi in qualche assaggio di vini di quelle zone… Soprattutto sottolineando che i vini di quelle zone tendono ad avere volumi alcolici molto contenuti (nel nostro caso 8,5%!!!!!!).
Quindi, come diceva il nostro amico oste: “Da bevarne a secci” (per i non veneti: “da berne a secchi”)!!!

martedì 5 giugno 2012

Una bomba di frutta

Questa volta devo proprio ringraziare un amico di lunga data, nonché mio compagno di band, per avermi fatto gentil cadeau della bottiglia di cui vi sto per raccontare, che ha preso direttamente in loco durante una delle sue passate visite in quella bellissima cittadina che è Montefalco, in Umbria. Nel dettaglio si tratta del Sagrantino di Montefalco DOCG COLLE GRIMALDESCO 2003 del produttore Tabarrini.
Il sagrantino è già noto per essere un vitigno che dona vini tannici, strutturati e concentrati, se poi aggiungiamo che il 2003 è stata un’annata intensamente calda e assolata, i presupposti per trovarci davanti ad un vino iperconcentrato e muscoloso c’erano tutti. Ancora di più, considerando che l’etichetta riportava un volume alcolico del 15%!!!
E invece, quasi sorprendentemente, si è rivelato meno “polposo” di quello che pensavo.
Al bicchiere, manco a dirlo, si mostra rosso rubino con qualche riflesso granata, scuro e impenetrabile, concentratissimo nel colore e nell’intensità.
La prima impressione che ho avuto avvicinando il naso al bicchiere è stata simile ad una marmellata di prugne e more stramature. Una miriade di frutti neri, con una vena di surmaturazione che non invecchia, ma anzi, impreziosisce la complessità del vino. Certo, non ci si può aspettare un vino “fresco” quando si sceglie un tal vitigno, in una tale annata, ma vi garantisco che l’assieme del frutto che ne emergeva era davvero piacevole e ben amalgamato. Seguono a ruota, intensi e imperiosi, cioccolato nero e caffè, uniti a una sottile nota di cuoio di sfondo. Col passare delle mezz’ore la frutta nera ha preso ancora più il sopravvento, pur lasciando sempre vivissimi il cioccolato fondente e il caffè.
In bocca mostra una struttura e una concentrazione notevoli (non poteva essere altrimenti). Si sente abbastanza il “calore” alcolico, però non risulta invadente, perché comunque surclassato rapidamente dalla concentrazione fruttata e dalle note terziarie in emersione. Anche qui, assolutamente protagonisti i frutti neri maturi, mora, ciliegia, prugna e, ad impreziosire il tutto, una bellissima nota di fichi neri a completare una gamma davvero variegata. Immancabili i tannini, vivi, potenti, ancora quasi ruvidi, ma nel complesso discretamente amalgamati nell’assieme del sorso. Chiude ancora in un finale lungo e piacevole di cioccolato nero, caffè, cuoio e tabacco.
Ultimamente sono pochi i vini di tale concentrazione che non mi risultino “stancanti” nella beva. Questo Colle Grimaldesco ne fa sicuramente parte, tanto che pur nella sua muscolosità, risulta di beva piacevole e invitante, se ottimamente accompagnato da uno spezzatino di manzo in rosso, come nel nostro caso.
Purtroppo questa volta le pulizie di casa sono state più rapide della mia macchina fotografica, quindi niente foto della bottiglia originale, ma vi posto un’immagine della sola etichetta che ho trovato in giro per il web.

domenica 6 maggio 2012

Un evento molto speciale!!!

Ci sono eventi che vanno sicuramente festeggiati con una grande bottiglia, quindi ogni buon appassionato conserva in cantina qualche grandissima “chicca” per le occasioni speciali. E quale miglior occasione del primo compleanno del nostro primogenito per aprire un vero e proprio “mito in bottiglia”?
La serata: sabato 28 aprile, 10 amici + 2 bimbi, un bel tavolo quadrato, una saletta tutta per noi nell’Osteria di un nostro amico e una Jeroboam (3 litri) di Franciacorta DOCG Cuvée ANNAMARIA CLEMENTI 1990!!!
Quale miglior modo di brindare al nostro piccolo???
Ma dato che questo è un blog che racconta di vini… Lascio ai miei ricordi la bella festa, e vi racconto che vero fuoriclasse abbiamo avuto nei nostri calici.
Innanzitutto il colore: giallo oro, vivo, brillante e di discreta intensità, segno dei suoi quasi 22 anni, perfettamente trascorsi a riposare nella grande “casa di vetro”. Non particolarmente presente il perlage, ma con frizzantezza sufficientemente presente e ammorbidita dagli anni.
Al naso ha mostrato una complessità quasi indescrivibile, con cambi e variazioni di sfaccettature ad ogni minuto. Inizialmente è partito caldo e burroso, richiamava moltissimo i grandi chardonnay di Montrachet, con la frutta gialla ancora leggermente timida, che si lasciava sorpassare da una vena acida, viva e speziata, di erbe aromatiche e agrumi. Col passare delle mezz’ore è emersa più chiara e viva la frutta, pesca, ananas e, meno intensi, piccoli frutti di bosco. Il tutto ancora miscelato ad una stupenda amalgama di erbe aromatiche fini, crosta di pane e una lieve nota burrosa che andava via via diminuendo.
Ogni minuto, una sorpresa. Una miriade di sfaccettature che emergevano dal bicchiere sempre in divenire. Un vino complessissimo, ma allo stesso tempo piacevole e affascinante.
In bocca ha mostrato meno mutevolezza, lasciando sempre predominare i sentori di piccoli frutti rossi del pinot nero, ribes e lamponi sopra tutti, contornati da una elegante nota di pompelmo rosa; poi ananas, pesca gialla e un finale lievemente maltoso e speziato, di salvia e timo. Anche qui, tanto elegante e rotondo, che invitava subito ad un secondo sorso, piacevole, ancora straordinariamente acido e vivo, malgrado i suoi 22 anni.
Un ultimo dettaglio, per confermare la straordinarietà del prodotto che avevamo sulla nostra tavola: di questa annata, in questo formato, sono state prodotte pochissime bottiglie, quindi una vera rarità, impreziosita ancora di più da un piccolo stemma in foglia d’oro incastonato nel vetro esterno della grande bottiglia scura!
Bottiglia, che ora ci guarda dall'alto del frigorifero della nostra cucina.

giovedì 26 aprile 2012

Qualcosa di speciale

Il legame tra vino e territorio di produzione è senza dubbio strettissimo. Ci sono poi alcuni vitigni autoctoni, molti dei quali poco noti al “grande pubblico”, ma ben conosciuti dagli appassionati del settore, che legati ad un territorio decisamente ristretto sanno dare vini di una tipicità e di una qualità davvero uniche.
Uno di questi vitigni è il Timorasso, uva a bacca bianca che viene prodotta in quantità davvero limitate nella zona dei colli Tortonesi, nel basso Piemonte, a ridosso dei primi Appennini. Quest’uva nei decenni passati era stata quasi del tutto abbandonata per dare spazio all’uva Cortese, più produttiva, ma grazie ad alcuni intrepidi vignaioli, il timorasso sta conoscendo una nuova fortuna, che lo sta portando rapidamente alle più alte valutazioni sulle guide di settore.
Uno di questi vignaioli me lo fece conoscere qualche anno fa’ un amico oste, proponendomi per una cena di pesce un doc Colli Tortonesi timorasso DERTHONA (non ricordo l’annata) del produttore Vigneti Massa.
Questo vino mi è rimasto così nel cuore da acquistarlo ogni volta che mi capiti di trovarlo sugli scaffali di qualche enoteca, e vi assicuro che non è sempre così facile.
Ieri sera ho provato per la prima volta l’annata 2008, come abbinamento ad un bel trancio di salmone al limone e rosmarino, e come sempre ho trovato un vino davvero interessante, pur di beva non propriamente “semplice”, date le caratteristiche non comuni che possiede.
Colore giallo dorato carico, limpido e brillante. Al naso, inizialmente timido, poi col tempo lascia salire note calde, mature di frutta gialla, mango, pesca e una vena di sottofondo di spezie mediterranee. Non particolarmente notevole l’intensità dei profumi, cosa che mi ha fatto presagire una grandissima concentrazione e una imponente struttura, perfettamente confermate con l’assaggio.
Al sorso mostra tutta la sua grande tipicità, differenziandosi davvero molto dalle classiche gamme organolettiche di altri vini bianchi più noti e diffusi. Ho sentito una grande predominanza di pompelmo rosa, mango, melone maturo, miscelati in un contesto sapido e strutturato, davvero notevole, pur mantenendo una discreta freschezza che rendeva il sorso piacevole e assolutamente non stucchevole. Si sente, eccome, la tipicità e l'unicità del vitigno, lo si riconoscerebbe subito tra molti altri; si sente anche il calore alcolico (14%), ma non invade; si nota anche una vena di surmaturazione che però non impasta, ma arricchisce il vino con un aspetto di complessità in più che non stona.
Chiude con salvia e altre erbe mediterranee, che lasciano un lungo finale piacevole e che invitano ad un nuovo sorso.
E’ la terza annata che assaggio di questo prodotto, tutte riuscitissime e assolutamente da tenere in cantina per le serate in cui si vuole stupire qualche amico appassionato con qualcosa di veramente diverso e speciale.

lunedì 2 aprile 2012

Peccato fosse l'ultima...

Avevo già raccontato di un produttore che posso (con un pizzico di orgoglio) chiamare amico, Michele Russo, che produce ottimo vino e ottimo olio a Suvereto, vicino alla costa toscana. Vi avevo anche già raccontato del vino di questo nuovo post, in particolare della sua annata 2007, come uno dei migliori che io conosca per rapporto qualità/prezzo.
Bene, questo weekend, assieme ad un ristretto gruppo di amici, abbiamo stappato l’ultima bottiglia che ci era rimasta in cantina dell’IGT Toscana SASSO BUCATO del 2004. Si tratta di un classico taglio bordolese, con leggera prevalenza di merlot sul cabernet sauvignon, con circa 18 mesi di affinamento in barriques (mi sembra di ricordare 18… Perdonatemi se sbaglio di qualche mese).
Già qualche anno fa’, seppur giovane, mi era piaciuto moltissimo per complessità e freschezza; ma qualche anno di riposo in più in bottiglia hanno fatto del Sasso Bucato 2004 un vino davvero eccezionale!!!
Al bicchiere ha mostrato un colore rosso rubino vivo, concentrato e denso, che faceva presagire di un vino corposo, pieno e possente.
Al naso è risultato un’esplosione di frutta nera matura, prugna dolcissima innanzitutto, poi mora e ciliegia nera immediatamente a seguire, con un contorno di viola, tabacco e caffè piacevolissimo e perfettamente integrato. Sorprendente l’intensità e la complessità della gamma olfattiva, davvero intrigante.
Vi garantisco (e l’affermazione non viene solo da me) che se avessimo degustato questa bottiglia “alla cieca”, sarei stato convinto di trovarmi davanti ad uno dei grandissimi (e costosissimi) rossi della zona di Bolgheri.
In bocca si è mostrato caldo e avvolgente, di struttura notevole pur mantenendo una discreta freschezza, con pochi sentori alcolici (per la cornaca si tratta di un vino da 14,5%, ma credetemi che non invadono per nulla!!!). Anche qui la netta predominanza è stata di prugna, mora matura e una miriade di altri frutti neri, contornate da note speziate e piacevolmente balsamiche, per arrivare ad un bel finale di peperone unito ad una sfumatura delicata di tabacco ed erbe fini.
Notevole la complessità delle mille sfaccettature del sorso, con una omogeneità e una morbidezza del tannino tipiche di vini di grandissima levatura.
Non posso che riconfermare i miei complimenti per la qualità dei prodotti dell’amico Michele Russo e unire un personalissimo ringraziamento per offrirci prodotti di tale qualità a prezzi più che accessibili, in una regione in cui, purtroppo, in molti sembrano essersi “montati un po’ la testa”.
Peccato fosse l’ultima bottiglia…

giovedì 29 marzo 2012

SA-uvignon di SA-ncerre

Come avevo già scritto qualche post indietro, ci sono dei territori che sono strettamente legati ad un vitigno in particolare. Avevo raccontato di un ottimo chardonnay della zona di Chablis; bene, questa volta il legame strettissimo coinvolge il sauvignon blanc e la zona di Sancerre.
Notare come la prima parte del nome ricorre in entrambi i casi… Pura coincidenza???
Comunque sì, rimaniamo ancora in Francia, ma non è mancanza di patriottismo. E’ che in queste zone particolarmente vocate, sarà per il clima, sarà per il terreno e l’esperienza dei vignaioli, ma l’eleganza e la longevità dei loro grandi bianchi non trova paragone in altre zone del mondo, anche dopo anni dal relativo millesimo di vendemmia.
Lo dimostra (manco a dirlo) il vino di cui vi sto per scrivere, assaggiato questo weekend con degli ottimi filetti di dentice al vino bianco. Si tratta del Sancerre Cuvée Edmond Vieilles Vignes 1998 di Alphonse Mellot, uno dei produttori più famosi e blasonati della sua zona.
Che mi trovassi di fronte ad un vino non comune lo si intuiva già dalla bottiglia, fatta di vetro color grigio-verde, completamente satinato. Nel bicchiere il colore si presenta di un giallo paglierino, non particolarmente carico malgrado quasi 14 anni trascorsi dalla vendemmia; già questo è stato il primo segnale di un vino ancora perfettamente giovane e ben conservato.
Al naso ha dato un’infinità di sfumature eccezionalmente amalgamate in un insieme piacevolissimo e intrigante. Era evidente la tipica sensazione di foglia di pomodoro, pur straordinariamente delicata e per nulla invadente, accompagnata da pesca a pasta bianca, pomodoro verde, agrumi dolci e una variegatissima nota di spezie fini sul finale.
In bocca ha mostrato una bella salinità, giusto quanto ci si aspetta da un vino perfettamente equilibrato, una buona struttura ma nel contempo delicata ed elegante. Mi sono perso per minuti interi a ricercare tutte le sfumature e le piccole sensazioni che pervadevano il sorso, ma in primo piano sono emerse piacevolmente anche qui la foglia di pomodoro e la pesca, con un secondo piano leggermente agrumato e un proseguio speziato che partiva dal timo, per arrivare poi alla salvia e ad un finale lunghissimo che richiamava l’alloro.
Un vino eccezionale, che mi ha sorpreso per eleganza, per equilibrio e per complessità.
Si dimostra ancora una volta che i grandi vini possiedono una longevità non comune che aumenta col passare degli anni la gamma di sensazioni che sono in grado di esprimere.

giovedì 9 febbraio 2012

Sarà l'aria di montagna?

Esistono diverse tipologie di spumanti realizzati con quello che tutti conoscono come “metodo classico”, cioè quello inventato, secondo la storia mescolata con la leggenda, dal monaco benedettino Pierre Pérignon sul finire del XVII secolo, che ha dato vita dapprima agli champagne e successivamente a molti altre denominazioni di tutto il mondo. Una di queste, chiamata Trento DOC, viene prodotta, appunto, in Trentino Alto Adige; i vini che ne derivano, grazie alle caratteristiche del luogo (terreno, altitudine, clima, ecc.), mostrano profumi e freschezza che in altri luoghi non è possibile ottenere.
E un ottimo rappresentante della categoria mi è capitato sulla tavola qualche sera fa’: si tratta del Tento DOC brut del produttore Balter. Si tratta di un vino relativamente economico e assolutamente consigliabile per la grande qualità che mi ha mostrato.
Al bicchiere si presenta di un bel giallo paglierino discretamente carico, comunque senza eccessi. Il perlage è fine, ben dosato e per nulla invadente, anche al sorso.
Al naso mostra subito piacevolissimi profumi di lieviti e crosta di pane, contornati poi da piccoli frutti, ribes e mirtillo rosso sopra a tutti, con buona eleganza e di complessità intrigante. Man mano che è aumentata la sua temperatura, ribes e lampone hanno preso il netto sopravvento, seguiti poi da una sottile e accattivante nota agrumata e dalla fragranza della crosta di pane.
Al sorso prevale nettamente il ribes, davvero predominante, contornato da lampone selvatico e dalle fragranti sensazioni del lievito, ma si aggiunge una bellissima e netta chiusura di salvia che permane a lungo dopo il sorso, aggiungendo complessità e ampiezza al nostro vino. Buone l’intensità e la struttura, anche se non mi sono sembrate particolarmente marcate. Ne deriva un’ottima sensazione di freschezza e una beva facile e piacevolissima. Invitava davvero a prenderne un altro sorso!!!
Un prodotto, secondo me, dal rapporto qualità/prezzo eccezionale, da tenere sempre pronto alla giusta temperatura per un ottimo aperitivo, o anche per accompagnare una bella frittura di pesce.
Sarà forse merito dell'aria di montagna???

domenica 5 febbraio 2012

Alla portata di tutti.

Chi ha detto che per bere un buon cru classé di Bordeaux bisogna spendere un patrimonio, si sbaglia di grosso. O meglio… Quasi sempre ha ragione, ma cercando bene c’è ancora qualche buon prodotto che si possa reperire a prezzi ragionevoli. Se poi parliamo del vino che vi sto per raccontare, direi che l’acquisto è più che accessibile e il prodotto è di gran classe!!!
Mi sono trovato al cospetto di un eccezionale CHATEAU BELGRAVE 2008, vino della zona dell’Haut Médoc, giusto al confine con la famosa denominazione di St. Julien. Si tratta di uno dei produttori che erano stati classificati come 5ème cru nella classificazione del 1855, quindi un territorio di grande tradizione e di consolidata qualità. Lo avevo notato su una delle guide che colleziono regolarmente, nella quale veniva segnalato come un prodotto da non lasciarsi scappare… E quindi, appena ne ho avuto l’occasione, mi sono regolato di conseguenza.
Dato che la composizione dei vigneti di questa maison è per il 50% cabernet sauvignon, 42% merlot, 5% cabernet franc e 3% petit verdot. Immagino che più o meno questa sarà anche la composizione del nostro vino.
Al bicchiere si è mostraro rosso rubino vivo e brillante, di tonalità carica pur mantenendo una leggerissima trasparenza. Al naso ha mostrato una complessità e un’eleganza fuori dal comune, iniziando dapprima con una prevalenza di speziata e molto vegetale, con la nota fruttata in secondo piano, pur presente e di buona intensità. Col passare dei minuti, ma soprattutto dopo un’oretta dall’apertura, l’ordine si è invertito e spiccavano in bella evidenza note di frutta nera matura, a partire da mora, prugna secca, marmellata di ciliegie e mirtillo nero. Facevano da splendido contorno le note vegetali del cabernet, accompagnate da peperone, spezie dolci e una leggera tostatura. Davvero intrigante l’assieme che ne risultava, fine, elegante, complesso ma allo stesso tempo di buona intensità.
In bocca le sensazioni fruttate emergevano con ancora maggiore intensità, richiamando mirtillo, mora e ciliegie mature, accompagnate da tannini vellutati, morbidissimi pur presenti. Facevano anche qui da contorno delle eleganti note speziate, con un piacevole finale lungo di tabacco e una sottile vena vanigliata.
Un vino piacevolissimo adesso, ma che saprà sicuramente evolvere ancora meglio con ulteriori quattro o cinque anni in bottiglia. Un prodotto assolutamente da consigliare e da tenere sempre a scorta per le grandi occasioni. Se poi aggiungiamo che il prezzo di partenza in cantina di questo vino non supera i 30 euro… Beh, allora il rapporto qualità/prezzo diventa proprio eccezionale!!!

lunedì 23 gennaio 2012

Il Piemonte in purezza.

Questa volta vi racconto di un vino che mi ha mandato così tanto in “brodo di giuggiole”, da essermi perfino dimenticato di fare la foto di rito alla bottiglia. E così ho dovuto prenderne una dal web, di pari annata, che già da sola dovrebbe far strabuzzare gli occhi di qualsiasi estimatore dei grandi vini italiani: il Barolo Monprivato 1996 di Giuseppe Mascarello, un grande vino in una grandissima annata (forse la migliore per di tutto il decennio dei ’90 per i vini piemontesi). Direi che con una splendida tagliata di petto d’anatra su salsa ai frutti di bosco non avremmo potuto metterci abbinamento migliore!!!
Ah, badate, stavolta non ho cucinato io e il vino non riposava nella mia modesta cantina, (a portate di tal levatura ancora non ci arrivo); siamo stati a cena nell’osteria di un nostro amico nel veneziano. Piatto e vino sono tutte e due opere loro!!!
Come sempre partiamo dal bicchiere, un bel rosso rubino con discreta unghia granata, davvero tipico dei grandi nebbiolo invecchiati, con una trasparenza piacevolissima e brillante.
Al naso è un’esplosione di frutta rossa, viva, spettacolare. Domina su tutte una ciliegia imponente, contornata da prugna, ribes nero e sotto sotto anche una venetta di lampone maturo. Fanno da contorno una bellissima e piacevolissima gamma di erbe aromatiche, tabacco dolce e una viva sensazione balsamica, quasi mentolata. Un’intensità sorprendente, abbinata da un’eleganza da fuoriclasse. Mi ha sorpreso davvero moltissimo sentire come una gamma di profumi così decisa potesse essere amalgamata in maniera così perfetta.
Il sorso è morbido, vellutato, fruttatissimo e lungo, con un bellissimo richiamo della ciliegia innanzitutto, per poi passare a tutte le varie sfumature fruttate. Chiude con un lungo finale di tabacco e, ancora, la ciliegia che rimane in bocca per minuti dopo il sorso. Si sentono ancora i tannini vibranti, ma perfettamente mitigati dagli anni passati in cantina, segnale che questo vino avrebbe ancora una lunga storia da raccontare negli anni a venire. La struttura è allo stesso tempo presente ma discreta, senza spigoli, senza eccessi, con un’eleganza sorprendente.
Si dice di solito che i grandi barolo richiamino un pochino i grandi cru di Borgogna. In questo caso, e in accordo con i miei amici presenti, questo vino ci ha un po’ ricordato la struttura, la morbidezza e la freschezza dei grandi grand cru di Bordeaux… O forse, come ha detto il nostro amico oste: “Questò è il Piemonte in purezza!”
Un assieme splendido, un vino da ricordare e, se mai capitasse di trovarne un’altra bottiglia da qualche parte, da non farsi assolutamente scappare!

lunedì 16 gennaio 2012

Quando ci vuole...

Per questo sabato era prevista un’uscita a cena in compagnia di diversi amici, nella quale era prevista l’apertura di una doppia magnum (3 litri) di un grande vino italiano di cui vi racconterò, spero, presto.
Però poi una serie di defezioni per varie cause avevano ristretto il numero a 4 persone. Troppo poche per aprire “il gigante”, quindi alla fine ho deciso di fermarci a casa nostra e, preso dal “raptus” di voler fare comunque una bella cena “seria”, ho stabilito senza alcuna consultazione portate e vini.
E con sommo piacere, posso ben dire a posteriori che la cenetta è riuscita talmente bene, che non abbiamo assolutamente rimpianto l’occasione saltata. Ma andiamo per ordine: siamo partiti con un bell’antipastino con culaccia di Parma affattata sottile sottile (da sciogliersi in bocca) con grissini, seguito poi da un ottimo primo di bigoli all’anatra, da leccarsi i baffi.
Con queste due portate abbiamo abbinato il vino di sinistra che vedete nella foto, ossia lo Champagne Brut Extra Cuvée de Riserve di Pol Roger; uno champagne davvero ben fatto!!! So che l’abbinamento con il primo non sarebbe stato “da manuale”, ma aprire una terza bottiglia mi sembrava francamente un po’ eccessivo per 4 persone. D’altronde… Est modus in rebus, dicevano i Latini!!!
Comunque la nostra cuvée si presenta di un bel giallo paglierino discretamente carico, bello brillante e con un perlage fine e per nulla invadente.
Al naso, sembra sacrificare un po’ l’intensità per la finezza, e comunque direi che personalmente preferisco così. In grande evidenza un naso di frutta gialla, contornata da ribes e agrumi dolci in secondo piano, crosta di pane, e una bella nota floreale.
Invece in bocca ha rivelato una struttura notevole, quasi in contrasto con la finezza dell’olfatto, pur mantenendo un bellissimo equilibrio, una buona freschezza e una piacevole sapidità. Anche qui si accompagnano in bella evidenza note di piccoli frutti rossi e agrumi dolci, ananas, note di lievito, timo, salvia e un finale fragrante, piacevole e persistente.
Per secondo invece mi sono lanciato in una bellissima tagliata di sorana, ricavata dal taglio della costata, privata dell’osso. Alta tre dita e cotta a perfezione… crostina ben cotta e interno rosa succulento, tenera come il burro… Una meraviglia!!!
Per questa bontà, non ho esitato a tirar fuori dalla mia cantina l’altro vino che vedete in foto: un Chateau Gazin 1999, grande vino di Bordeaux della zona di Pomerol. Come per tutti i vini di quella stessa “appellation” è marcata la presenza del merlot, infatti l’etichetta riporta come composizione 85% merlot, 12% cabernet sauvignon e 3% cabernet franc. Il colore del vino è un bellissimo rosso rubino scuro, quasi impenetrabile, pochissimi i riflessi granati, grande segno di giovinezza.
Al naso è un’esplosione di prugna matura, confetture di more, ciliegia e mille altri frutti rossi maturi, con un’eleganza e una finezza degna dei grandi bordeaux. Seguono poi in secondo piano tabacco, cacao e una piccola nota vegetale assolutamente ben amalgamata.
Il sorso è piacevolissimo, con una finezza fresca ed affascinante. Anche qui prevale la frutta rossa, con la mora e la ciliegia matura in primissima evidenza, poi tabacco da pipa, alloro, cacao e un intrigante finale lungo di caffè. Una complessità notevole, che mi ha riportato alla mente altri vini, ben più costosi, assaggiati in passato. Nessuna spigolatura: un vino rotondo ad un grado di maturazione probabilmente ottimale.
C’è poco da dire, non mi faccio spesso dei complimenti per la cucina, ma con le portate e i vini di sabato, la serata è stata un successone!!!

mercoledì 11 gennaio 2012

CHA-rdonnay di CHA-blis

C’è poco da dire, oltre alla stessa parte iniziale della parola c’è un legame stretto e indissolubile che lega la zona vinicola dello Chablis con il suo vitigno bianco principe (e probabilmente anche l’unico che vi si coltiva), lo chardonnay.
I vini di Chablis fanno parte, enologicamente parlando, dei vini di Borgogna, anche se in realtà geograficamente si trovano a minore distanza dalle zone di produzione dello champagne, più che dei vini della Cote d’Or. Per questo, probabilmente, prendono una vena gusto-olfattiva più decisa rispetto ai loro cugini prodotti più a sud.
La forza e la costruttività del legame che citavo mi è stata confermata una volta di più dal vino assaggiato ieri sera, uno CHABLIS 2009 del produttore J.P. Droin. La famiglia Droin, leggo sul loro sito internet, è nota per avere una lunghissima tradizione vitivinicola, quindi mi aspettavo di trovarmi davanti ad un prodotto sicuramente ben fatto, coltivato e lavorato da mani esperte.
E infatti è andata proprio così.
Nel bicchiere il vino si presenta giallo paglierino tenue, davvero bello limpido. Al naso inizialmente parte con una marcata nota calda, mista tra il “burroso” e l’amandorlato, seguita da pesca sciroppata, ananas e una vena di erbe aromatiche, poco percettibile ma presente! Pecca inizialmente di freschezza nei profumi, ma man mano che è salita la temperatura, quest’ultima è arrivata senza farsi attendere; con lei è aumentata di gran carriera la frutta gialla e una piacevolissima nota di agrumi, oserei dire di pompelmo rosa. La vena amandorlata è comunque rimasta di contorno, a completare una gamma olfattiva davvero variegata e piacevole.
Al palato mostra una buona finezza, una bella acidità e una struttura rotonda, tipica dei bianchi di Borgogna ben riusciti. Anche qui predomina inizialmente la pesca gialla, con un bel secondo piano di ananas, erbe fini e un bel termine morbido, che anche qui definirei come “burroso”. Buona la persistenza, che lascia in bocca un gusto piacevole e che invita a prendere presto un altro sorso.
Per carità, non potrà di certo competere in complessità ed eleganza con i grandi cru di quella stessa "Appellation", ma sicuramente un vino ben riuscito, consigliatissimo a chiunque voglia avvicinarsi ad uno chardonnay di Borgogna senza spendere un patrimonio. Me ne rimangono in cantina altre due bottiglie, delle quali almeno una rimarrà un paio d’anni tranquilla per sentire come sarà la sua evoluzione nel tempo.