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lunedì 22 dicembre 2008

Un siciliano maturo e piacevole

Ho sempre sottolineato l’importanza degli anni di maturazione in bottiglia di alcuni vini importanti. Non mi era però mai capitato di assaggiare un Nero d’Avola di oltre 10 anni, quindi averlo trovato negli scaffali di un enoteca mi ha immediatamente spinto all’acquisto (e conseguentemente all’assaggio). Ancora di più considerando che si tratta di una delle etichette più rinomate dell’enologia siciliana, ovvero il Nero d’Avola DUCA ENRICO 1997 dell’azienda Duca di Salaparuta.
La mia speranza era quella di trovare un vino decisamente evoluto, con tutti i famosi “terziari” a far da compagnia agli aromi tipici del vitigno, ma c’era pure il rischio di trovare un vino ormai “caduto”… Invece è andata bene… Anzi, molto bene.
Per chi non frequenta la materia, i “terziari” sono profumi e gusti che vengono dati al vino da sostanze che si formano spontaneamente durante gli anni di riposo in bottiglia. Questo processo è dovuto principalmente alla micro-ossigenazione che avviene negli anni attraverso il tappo di sughero, la quale fa combinare l’ossigeno con le sostanze “minori” derivate dalla vinificazione dell’uva creando piccolissime quantità di alcoli superiori, eteri, esteri, e altre sostanze ancora, molto aromatiche che danno profumi differenti a seconda della loro presenza.
Dal bicchiere mostra un rosso rubino carico con bei riflessi granata, come effettivamente deve essere in un Nero d’Avola di quest’età, discretamente limpido.
I profumi sono intensi e complessi: partono dalla frutta rossa matura, in prevalenza mora e prugna matura, ma arrivano ad un possente aroma speziato, di tabacco e caffè. Davvero variegata la gamma di sentori che arrivano alle narici, che intraprendono un piacevole “balletto” per far prevalere ora un sentore e ora un altro.
Al gusto mostra i suoi muscoli, con una struttura potente ma mai aggressiva, anzi con una discreta morbidezza che rende questo vino davvero di beva piacevole. Prevalgono in bocca le note di tabacco e di caffè tostato, poi un sottofondo di mora e ribes, di grande complessità e con un finale nel quale ho avvertito anche una lievissima nota balsamica.
Un gran bel vino, importante e complesso, giunto probabilmente all’apice della sua potenzialità. Se ne trovate una bottiglia in qualche enoteca o in qualche ristorante ben fornito, non lasciatevela scappare perché secondo me tra qualche anno non donerà più emozioni così piacevoli (anche se, ahimè, non costa proprio pochino…).

domenica 21 dicembre 2008

Il signore di Montefalco

Il sovrano dei vitigni umbri è senza dubbio il Sagrantino di Montefalco, un'uva che di solito dona vini possenti e tannici, ma se il vignaiolo riesce a trovare il giusto equilibrio in questi aspetti un po' austeri, ne può uscire un prodotto eccezionale.
E' proprio il caso del Sagrantino di Montefalco ARQUATA 1999 del produttore Adanti, soprattutto per il prezzo che costa in enoteca (meno di 20 euro).
Gli anni passati in bottiglia mi hanno fatto pensare che fosso proprio giunto alla maturazione perfetta per essere provato e così è stato! Nel bicchiere si è presentato di un bel rosso vivo con una tendenza al granato discretamente presente.
Al naso ha mostrato grandi ed eleganti profumi di frutta rossa, soprattutto marasca e prugna; una bella nota speziata (data dalla maturazione) ha immediatamente seguito i primi sentori. Buona l'intensità dei profumi, senza risultare aggressiva, ma il meglio di sé l'ha mostrato all'assaggio.
Mi aspettavo un vino potente, tannico e astringente... e invece ne è uscito un vino elegantissimo, morbido e fresco, con una potenzialità di evoluzioni future davvero enorme. Anche qui ha prevalso la frutta rossa anche qui accompagnata da una nota speziata, proprio come nei profumi provati immediatamente prima. Incredibile la delicatezza dei tannini, poco percettibilie direi addirittura "sfuggente". Ecco... forse di questo aspetto sono rimasto leggermente sorpreso negativamente, nel senso che esula un po' dalle caratteristiche tipiche dell'uva Sagrantino, ma nel complesso del prodotto finale direi che "va bene anche così".
Purtroppo nell'enoteca in cui lo avevo acquistato hanno terminato l'annata 1999... pazienza, ho prontamente preso la 2001, che assaggerò quanto prima per un confronto ravvicinato.

venerdì 12 dicembre 2008

Ogni annata, una conferma!

A mio giudizio esclusivamente personale, ci sono delle portate che hanno un abbinamento quasi “d’obbligo”, perché le caratteristiche combaciano a tal punto che non vale nemmeno la pena di sperimentare combinazioni diverse. Quindi se mi chiedete quale vino sceglierei per una orata al forno, la mia risposta è quasi automatica: “un verdicchio dei castelli di Iesi”, un ottimo bianco marchigiano.
Quindi, qualche sera fa’, in occasione proprio di questo piatto, abbiamo stappato quello che ritengo il migliore della sua tipologia, ovvero il Verdicchio dei Castelli di Iesi Riserva VILLA BUCCI 2005, dell’ottimo produttore Bucci. Pensate che il titolare di questa cantina è consulente di marketing e docente all’università di Milano, ma produce vino e olio nelle Marche per pura e vera passione… e si vede!
Di questo prodotto ho già avuto modo di assaggiare diverse annate, direi tutte quelle che sono uscite in commercio, perché (badate bene!!!) nelle cattive annate questo vino non viene proprio messo in commercio; grandissimo segnale di serietà e di alta qualità.
Questo 2005 si presenta di un bel giallo paglierino carico e limpido, come infatti ci si deve aspettare da questa tipologia di prodotto.
Appena si avvicina il naso al bicchiere inizia la danza dei profumi fruttati e floreali, tra cui emergono imperiosamente i frutti a pasta gialla, e principalmente la pesca, ma anche una bella nota amandorlata, appena percettibile e davvero elegante.
In bocca colpisce per la struttura e la sapidità, molto presenti ma senza eccedere. Si confermano i sentori di frutta a pasta gialla e una vena di dolcezza accompagnata da una discreta acidità. Eccezionale la “dosatura” del legno, che non fa emergere alcuna sensazione vanigliata, ma rende questo vino rotondo al palato, senza spigolature. Il finale è lungo e piacevole, mantenendo il sentore di pesca già sentito all’olfatto.
Non c’è che dire… i vini fatti bene non deludono mai.

martedì 2 dicembre 2008

La tradizione non muore mai

Il barolo è uno dei vini più blasonati al mondo e questa fama l’ha guadagnata negli anni a suon di prodotti di livello a dir poco “spettacolare”. Non a caso, nei commenti di qualche post fa’, avevo indicato come il mio “preferito di sempre” proprio uno di questi vini, grandissime dimostrazioni delle potenzialità dell’uva nebbiolo.
Negli anni, anche le tecniche di produzione di questo vino hanno subito sperimentazioni e innovazioni, che hanno portato a risultati più o meno positivi (in certi casi ci si addentra poi nei meandri dei gusti personali); è comunque fuori discussione che, quando ci si trova davanti ad un barolo fatto secondo tradizione (quindi senza l’impiego delle famose barrique, ma solo con utilizzo di “botti grandi”), ci si deve aspettare un prodotto di grande levatura.
E questo lo ha decisamente confermato il barolo VIGNA RIONDA 2001 del produttore Anselma di Serralunga d’Alba. Un vino complesso ed elegantissimo, che ha decisamente surclassato un altro barolo del 2001, di un produttore che qui non nominerò e che abbiamo degustato “in parallelo” (badate bene, anche quest’ultimo si è dimostrato un buon vino, ma comunque non al livello del protagonista di questo post).
Il nostro Vigna Rionda, appena versato nel bicchiere, ha mostrato la sua bellissima veste di color rosso rubino limpido, viva e per niente cupa, come infatti ci si deve aspettare da un vino prodotto con il 100% di uva nebbiolo.
All’inizio, poco dopo l’apertura i profumi erano molto chiusi, quasi celati dietro ad una cortina di cuoio e tabacco… poi col passare dei minuti c’è stata un’evoluzione incredibile verso la ciliegia e il lampone, sempre contornati da spezie e tabacco con un’eleganza e una finezza incredibile. Sembravano quasi accarezzare le narici e stuzzicare la salivazione nell’attesa del primo sorso.
In bocca si è mostrato vellutato e rotondo, nessuna sbavatura e soprattutto nessuna nota vanigliata che prevaricasse gli altri gusti. I tannini sono stati leggeri e astringenti giusto un poco solo nel finale del sorso; i gusti predominanti sono stati anche qui la marasca e il lampone, ben accompagnati da una fresca dolcezza e da lieve retrogusto affumicato.
Quello che mi ha particolarmente sorpreso è stata l’evoluzione man mano che passavano i minuti, la predominanza nei profumi che si è spostata dal cuoio, alle spezie e infine alla frutta matura. Le sfumature e le note appena percettibili lo hanno davvero reso un vino di grande complessità, che si è mostrato austero e scorbutico all’inizio, ma dolce e elegantissimo poco dopo.
Sarei curioso di riassaggiarlo tra qualche anno, perché a mio avviso potrà avere ulteriori evoluzioni positive nel tempo…

mercoledì 26 novembre 2008

Giovane e forte

Il miglior abbinamento con i formaggi stagionati è senza dubbio l’Amarone della Valpolicella, per il suo gusto intenso e concentrato e per la “potenza” delle sensazioni gusto-olfattive che comunica.
L’occasione di una cena proprio a base di formaggi (per la precisione gli stagionati erano un Val di Fassa fatto in malga, un Vezzena stravecchio e un provolone di vecchissimo invecchiamento, quasi da grattugiare) ci ha fatto stappare proprio l’Amarone della Valpolicella CAMPO DEI GIGLI 2003 della Tenuta Sant’Antonio.
Devo premettere che l’amarone è un vino da lungo invecchiamento, e provare oggi un 2003 significa sicuramente non avere il meglio da questo prodotto, ma è anche vero che gli amaroni più datati che abbiamo in cantina sono decisamente pregiati e meritano un occasione un po’ più speciale per essere aperti.
Intanto devo confermare che fin dal bicchiere, il Campo dei Gigli mostra un viola scuro quasi impenetrabile, d’altronde non potrebbe essere diverso da un vino composto in larga parte da un’uva che si chiama “Corvina”.
I profumi sono caldi e polposi; si sente abbastanza l’alcool (d’altronde con i suoi 16% è inevitabile), ma è tranquillamente surclassato da intensi folate di prugne secche e confettura di amarene. Mostra anche una lieve speziatura nel finale dell’olfatto, ma è al gusto che queste emergono decisamente, ben rafforzate da sensazioni di ciliegia matura e da una nota di dolcezza molto piacevole. Mancano purtroppo le note evolutive dei grandi amaroni di 10 anni di invecchiamento, ma la potenzialità ce l’ha sicuramente anche questo prodotto.
Manca un po’ in eleganza… l’intensità del gusto è forse un po’ eccessiva, cosa sicuramente dovuta all’annata estremamente calda e secca che quell’anno non ha risparmiato nemmeno i vigneti del veronese, però tutto sommato la forte concentrazione, il calore dell’alcool e l’intensità dei gusti lo hanno reso un buon compagno dei formaggi che avevamo a tavola, decisamente saporiti.
Provateci!

martedì 18 novembre 2008

Un "nobile vino", ma non un "vino nobile"

Mi è capitato qualche volta di imbattermi in persone che non conoscono la differenza tra il Montepulciano d’Abruzzo e il Vino Nobile di Montepulciano. Prendo l’occasione di parlarvi di un vino provato ieri sera, per sottolineare che sono due cose ben diverse.
Il primo è un vino (ovviamente abruzzese) ottenuto prevalentemente da uva Montepulciano, che è proprio un vitigno che si chiama così, ma non ha nulla a che fare con la cittadina di Montepulciano, in provincia di Siena. Questa città è invece famosa per una DOCG (il Vino Nobile di Montepulciano, appunto), che riguarda vini fatti con la prevalenza di uva Sangiovese (e per la precisione il sangiovese grosso o “prugnolo gentile”, una sotto-varietà tipica della zona, nella misura minima del 70%).
Essendo quindi fatti con vitigni diversi, hanno anche caratteristiche ben differenti.

Oggi vi racconto del Montepulciano d’Abruzzo SPELT 2001 della Fattoria La Valentina, un vino che mi ha positivamente sorpreso, visto il prezzo “onesto” che l’ho pagato.
Fin dal bicchiere si mostra rosso rubino abbastanza carico, con poche sfumature granata malgrado l’età. Al naso ha sorpreso per la grande intensità dei profumi, davvero “esplosivi” e ben variegati. Forse mancavano un po’ di eleganza, si mostravano un po’ troppo muscolosi, ma per nulla infastidenti, anzi l’ho considerato quasi un pregio in questo vino. Immediatamente hanno prevalso la mora da gelso matura ed il mirtillo, seguiti da un aroma che non riuscivo bene a identificare… eppure era ben distinguibile… Mia moglie ha suggerito “datteri”… Ho infilato nuovamente il naso nel bicchiere e le ho dato ragione. C’era una nota di surmaturazione che ricordava i datteri.
In bocca si è mostrato caldo e avvolgente (ovvio con l’alcol a 14,5%), forse un po’ troppo, ma i tannini erano davvero morbidi e mostrava sotto sotto una vena di acidità, segno che la sua permanenza in bottiglia può proseguire ancora qualche anno. Qui i datteri hanno lasciato il posto definitivamente a mora e mirtillo maturo e il finale si è mostrato piacevolmente dolce. Discretamente buona la struttura, che lo rende abbinabile a secondi di carne anche complessi.
Un vino sicuramente da comprare una seconda volta.

venerdì 14 novembre 2008

Il "padrone" di casa nostra

Questa volta vi racconto di una bottiglia che ho comprato nell’ultima edizione di “Cantine Aperte”, questa primavera.
Quella domenica, avendo impegnato la mattinata alla ricerca di ottimi funghi pioppini, non ho potuto fare molta strada nel pomeriggio per andare a visitare qualche cantina “famosa”, quindi mi sono fermato a Tezze di Piave, dove c’è la caratteristica azienda agricola Bonotto delle Tezze. Il loro vino di punta, manco a dirlo, visto dove si trova, è il raboso Piave doc POTESTA’, del quale ho comprato l’annata 2004.
Questo vitigno, il raboso del Piave appunto, è il principale dei vitigni autoctoni della zona. E’ un’uva che in generale fornisce vini rustici e spigolosi (basti pensare che la parola “raboso” deriva da “rabbioso”), come ogni tanto doveva essere il carattere dei vecchi contadini trevigiani, ma come loro, se trattato con il dovuto rispetto, sa ingentilirsi e far apprezzare anche una discreta eleganza.
Infatti questo vino nasconde gli aspetti ruvidi del vitigno e mostra un lato piacevolmente gentile di questa uva, ma senza perderne la tipicità. Nel bicchiere ha mostrato un colore rosso rubino vivo e brillante, non particolarmente carico, segno di una concentrazione per niente spinta. Al naso ha mostrato profumi non molto intensi ma di discreta finezza, con una piccola prevalenza di ribes e mora, ma con una nota lievemente erbacea che caratterizza un po’ tutti i vini di questa zona.
In bocca non ha mostrato una grande struttura, ma una grande acidità (quindi un vino decisamente “fresco”) unita ad una discreta dolcezza e a tannini molto morbidi hanno reso i sorsi ben piacevoli. Non un vino eccelso ma di beva piacevole, senza perdere la tipicità del vitigno.
Ha accompagnato splendidamente un tomino alla piastra avvolto nello speck.
Se poi aggiungiamo che mi è costato decisamente poco, allora diventa proprio un vino interessante.

martedì 11 novembre 2008

La variabilità è dei vini genuini

I produttori di cui ho maggior fiducia sono quelli i cui vini mostrano effettivamente differenze da un’annata all’altra (che questo poi non si rifletta effettivamente sui prezzi lo trovo decisamente scorretto… ma è un argomento che non ho intenzione di trattare oggi). Quando queste differenze sostanziali mancano e un vino mantiene caratteristiche pressoché identiche da una vendemmia ad un'altra, credo che dietro ci sia molto di “artificioso”, con grandi lavorazioni di cantina che tendono a mascherare i difetti, con il risultato di coprire anche le tipicità delle uve con cui sono fatti (è il caso dei vini ultra-barricati, che diventano polpettoni legnosi e vanigliati in cui distinguere i vitigni diventa impossibile).
Confermo che il TORRIONE della Fattoria di Petrolo, in Toscana, mostra effettivamente questa variabilità. Mi era capitato qualche mese fa’ di assaggiare l’annata 1999 e l’ho giudicata davvero notevole, e quindi venerdì scorso ho voluto provarne il 2001.
E’ partito molto bene, mostrando un bel colore rosso rubino non particolarmente carico e tendente al granato, come dovrebbe essere nei grandi sangiovesi “in purezza” con già qualche anno passato in bottiglia.
Al naso profumi discretamente intensi con una grande prevalenza di prugna e confettura di ciliegie, con una nota speziata appena percettibile.
In bocca si è mostrato un po’ troppo “muscoloso”, con tannini secondo me troppo aggressivi rispetto alla tipicità del vitigno. Erano comunque ben presenti e piacevoli i sentori di frutta rossa matura con note di tabacco e caffè a fare da contorno, ma ahimè col passare dei minuti sono state surclassate dall’astringenza ancora troppo invadente e da una vena amarognola che rimaneva a lungo dopo il sorso.
Probabilmente tra qualche anno questo vino evolverà in un gran bel prodotto, quando i suoi tannini saranno stati mitigati dalla permanenza in bottiglia, ma ad oggi mi è sembrato ancora acerbo (e dovreste ricordare da post precedenti quanto “il momento giusto” sia importante per far esprimere ad un grande vino il meglio di sé).
Badate bene, non un vino cattivo, solo che per me è stato inevitabile il confronto con l’annata 1999 nella quale aveva mostrato una classe davvero superiore.

mercoledì 5 novembre 2008

Vicini di casa.

A volte non serve fare molta strada per trovare vini di qualità a prezzi bassi, capita di averli fuori delle porte di casa e di scoprirlo quasi per caso.
Ne è un esempio il Piave Cabernet DOC Riserva 2000 dell’azienda Castello Carboncine, che si trova alle porte di Treviso, in direzione del fiume Piave, appunto. Un vino, badate bene, pagato circa cinque euro… e per questa cifra dona molto più di tanti altri prodotti in commercio.
Aggiungo per completezza che si tratta di un blend tra le due tipologie cardine cabernet sauvignon (per la maggior parte) e cabernet franc, e sosta diversi anni in grandi botti di rovere in cui si affina e si ammorbidisce.
Il colore si presenta rosso rubino intenso ma non impenetrabile. Che non abbia una grande concentrazione lo dimostra anche il grado alcolico non particolarmente elevato (12,5%), però al naso ha mostrato bei profumi di frutta rossa, quasi sorprendentemente dolci, molto differenti dai "soliti" cabernet della zona Piave, di solito asprigni ed erbacei fin dal profumo. Il tipico peperone verde del cabernet è uscito un po’ alla distanza ma non ha mai prevaricato la dolcezza della mora e della prugna che salivano con buona intensità dal bicchiere.
In bocca ha mostrato una discreta mineralità, senza eccessi, con la conferma delle sensazioni di frutta rossa percepite nei profumi. Giusto una nota erbacea nel finale, a conferma dei vitigni che lo compongono, ma davvero “leggera” e ben amalgamata. Non elevatissimi il corpo e la struttura, ma d’altronde non si tratta di un vino del sud… qui nel nord-est è giusto che sia così.
Un rapporto qualità-prezzo che dovrebbe far riflettere molti produttori delle stesse zone e portarli a credere un po’ di più nella potenzialità della zona del Piave, troppo spesso relegata a produrre vinelli “massivi” senza prospettive lungimiranti.

giovedì 23 ottobre 2008

Qualità e costanza

Rieccomi qua. E’ un bel po’ che non scrivo nulla di nuovo qui, ma d’altronde, come mi ero ripromesso fin da subito, farò un nuovo post ogni qualvolta avrò un vino veramente buono di cui raccontare. E oggi c’è!
Ci sono produttori vinicoli che hanno delle “punte di eccellenza” in determinate annate o in singoli vini, ma ce ne sono pochi che hanno una produzione costantemente di altissimo livello, pur considerando le difficoltà climatiche negli anni critici.
Appartiene a questa seconda tipologia la Fattoria Selvapiana, azienda nel cuore della zona vicino a Firenze in cui nasce il Chianti Rùfina d.o.c.g. E proprio di uno dei loro prodotti, il Chianti Rufina “VIGNETO BUCERCHIALE” del 2000, è il vino che ha accompagnato la mia cena di ieri sera.
Un vino sorprendente, che mi ha fatto presagire fin dal colore la sua grande concentrazione. Si è presentato rosso rubino carico con discreti riflessi granata, d’altronde sono passati 8 anni dalla vendemmia.
I profumi sono stati ben intensi, carichi di note di prugna e marmellata di ciliegie, ma con sfumature speziate, tipiche dei grandi sangiovese invecchiati, e una leggera nota balsamica. Molto interessante come la grande “potenza” dei profumi non andasse a scalfire la piacevolezza al naso.
Al gusto ha mostrato grande concentrazione e complessità, in cui si sono alternati gli iniziali aromi di ciliegia e mora con i successivi di spezie, tabacco e un finale lievemente erbaceo (ma proprio lieve).
Un grande vino, che ha fatto da degno erede alle annate precedenti che mi era capitato di assaggiare in un’apposita verticale fatta qualche mese fa’. Per la cronaca, in quell’occasione avevamo provato le annate 1985, 1988, 1990, 1993, 1995 e 1999. Pensate che in quell’occasione, la bottiglia migliore a detta di tutti i presenti era proprio la 1985, e questo dimostra la grandiosità e la longevità di questo prodotto!!!

martedì 7 ottobre 2008

Un assoluto fuoriclasse!!!

In anni e anni di assaggi di grandi vini, mi sono ormai costruito una personalissima classifica dei “migliori in assoluto” nelle varie tipologie.
La “top 10” è composta da singole annate di vini che all’assaggio mi hanno davvero impressionato oltre l’immaginabile, e per entrare oggi in questa lista, un vino deve essere davvero un “super-fuoriclasse”.
Per festeggiare una ricorrenza molto importante, ieri sera mi aspettava effettivamente un grande vino, almeno sulla carta, ma non mi sarei aspettato che questo entrasse così prepotentemente nei primi dieci!!!
Si tratta del famoso sangiovese (in purezza, ovvero 100% di uva sangiovese) FLACCIANELLO DELLA PIEVE dell’ottima azienda Fontodi, in Toscana, ma l’annata bevuta ieri sera è la 1988 (quindi un vino fatto 20 anni fa’!!!).
Non mi voglio soffermare troppo sull’azienda produttrice, che ho visitato personalmente la scorsa primavera, e che ritengo composta da persone squisite e competenti, ma questo millesimo ha rivelato tutta la grande qualità che ha reso famosa negli anni l’enologia toscana.
Devo anche complimentarmi con il titolare del ristorante in cui abbiamo cenato, che è una persona seria e competente, oltre che un buon conoscente, per aver conservato in maniera così splendida le bottiglie per tutti questi anni.
Il vino è stato stappato alle 18:30, quindi praticamente due ore e mezza prima di berlo, cosa d’altronde necessaria con vini di quest’età, per donare loro l’ossigeno che risveglia i loro aromi a lungo “assopiti” sotto il sughero.
Nel bicchiere si è presentato rosso rubino acceso, non particolarmente carico, come infatti ci si deve aspettare in un tipico sangiovese, e con qualche piccolo riflesso granata, segnale di un vino ancora fresco e vivo.
Al naso… un’esplosione di aromi fini ed eleganti allo stesso tempo, per nulla invasivi, anzi, potevano essere paragonati ad una brezza leggera che sale fino alle narici. Un vino, badate bene, non semplice e con mille sfumature date dai vari composti che l’invecchiamento ha creato. Hanno prevalso sugli altri tabacco, cacao e spezie, ma erano molto ben avvertibili l’amarena e gli altri frutti rossi tipici del sangiovese che mi aspettavo di trovare.
In bocca ha lasciato andare il meglio di sé, mostrando una predominanza assoluta di dolce amarena, accompagnata da una freschezza e da un’acidità che, se non avessi saputo l’anno di vendemmia, avrei scommesso essere di un vino molto più giovane, al massimo vecchio di 6 o 8 anni!
Con l’andare del sorso, hanno seguito aromi di cacao e tabacco, con tannini vellutati e leggeri… piacevolissimi! Incredibile davvero la sua longevità, credo sia la prima volta che un vino di 20 anni mi sorprenda a tal punto per la sua freschezza!
Assolutamente nei primi 10 vini di tutta la mia vita, ma per il momento direi che si colloca direttamente nel podio dei grandi rossi!!!
Fantastico!

Muscoloso e gentile

C’è poco da dire… quando i francesi decidono di fare un “bollicine” davvero buono, hanno quella marcia in più!!! D’altronde, hanno il clima, hanno il terreno, e soprattutto hanno tre secoli di esperienza in più di noi!!!
Questo concetto me l’ha di nuovo confermato un paio di giorni fa’ un ottimo champagne, il “V.P.” della cantina Egly-Ouriet. La sigla sta per Vieillissement Prolongé, ovvero un vino che rimane sui lieviti per un tempo molto maggiore rispetto agli champagne di normale produzione dell’azienda.
Il risultato è un vino dal color paglierino carico, e così deve essere per forza, essendo composto da sola uva pinot noir (vinificata in bianco, senza la buccia, per chi non lo sapesse), con un bel perlage fine e persistente.
Al naso ha mostrato una grande finezza dei profumi, eleganti e freschi ma forse un po’ troppo esili nell’intensità complessiva. Ho sperato che questo, invece che un difetto, fosse un segnale di grande concentrazione e grande mineralità al gusto, ben al di sopra della media… e così è stato!
In bocca ha subito “mostrato i muscoli”, con una potenza e una struttura che difficilmente si trovano negli champagne francesi. Evidentissimo un piacevole gusto di ribes, tipico del pinot noir, davvero in forte supremazia sulle altre sensazioni, poi si notano la grande salinità e la mineralità di questo vino accompagnate da un finale amandorlato che rimane in bocca per diversi secondi dopo il sorso.
Sono pochi gli champagne che mi sorprendono, e questo lo ha fatto in maniera davvero prorompente, tanto che dopo il primo sorso mi è scappato ad alta voce un “caspita!” che ha fatto lanciare qualche sguardo incuriosito dai tavoli vicini. Sicuramente non è adatto come “apertura” di una cena di pesce, ma vi garantisco che ha accompagnato splendidamente l’ottima frittura mista che avevo ordinato per secondo!

venerdì 3 ottobre 2008

Formaggi e "marmellata d'uva"

Quando si hanno degli ottimi formaggi molto stagionati, non c’è niente di meglio di un buon Amarone della Valpolicella. E’ un vino particolare, non piace a tutti, ma è una delle tipologia di rosso che preferisco. E proprio perché ne ho provati diversi che devo, a malincuore, confermare che in giro esiste tanta “spazzatura” con scritto in etichetta “Amarone della Valpolicella”, e una cosa ancora peggiore è che questa “spazzatura” se la facciano pagare 30, 40 euro a bottiglia (o ancora di più).Ma a parte questa piccola polemica, ieri sera ho ricevuto la graditissima visita di una coppia di amici australiani (anzi… italiani emigrati) e ho tirato fuori due formaggi di altissimo livello: un pecorino e un misto latte di capra+pecora, entrambi super-stagionati. L’occasione era ghiotta per stappare l’Amarone “PERGOLE VECE” 2001 dell’azienda Le Salette.Era ancora un po’ giovane, si poteva dargli ancora un paio d’anni di attesa in bottiglia per dare il meglio di sé, ma ha prevalso la voglia di provare di persona se fosse vero tutto quello che avevo letto di positivo su questo vino.Il colore si è presentato ben scuro, un rosso porpora quasi impenetrabile (d’altronde una delle uve che lo compone si chiama, appunto, “corvina”).Al naso ha mostrato tutti i caratteri tipici che si devono trovare nell’amarone, il profumo di amarena, di marmellata di more e ciliegie, di frutta rossa matura, ben amalgamati, eleganti e dolci. Si sente discretamente anche la nota calda dell’alcool (questo vino fa 15 gradi!!!), ma non disturba.In bocca è stato potente, ottimamente strutturato e non in maniera eccessiva (come invece capita spesso in qualche amarone). Presenta una nota quasi dolce e una discreta morbidezza, quasi vellutata. L’alcool non da fastidio, lo si sente ma quasi scompare dietro all’intensità della “marmellata” che domina sugli altri gusti.Un ottimo accompagnamento alla sapidità dei formaggi che avevamo davanti, ma questo è uno dei pochi amaroni “di gran classe” che può accompagnare senza eccessi un secondo piatto saporito, come un buon brasato o una portata a base di cinghiale.Quel che avevo letto in una rivista del settore è proprio confermato!!!

venerdì 26 settembre 2008

Una sapiente "affumicatura"

Non stiamo parlando ovviamente di un prosciutto o di un salume, ma ieri sera sono rimasto particolarmente stupito da un vino bianco, un sauvignon prodotto in provincia di Verona dalla notissima azienda Inama (nota più per i suoi due rossi di punta Oracolo e Bradisismo che per i bianchi).
Si tratta del "Vulcaia Fumé" 2005, ed effettivamente quanto indicato nel nome del vino rispecchia notevolmente le sue caratteristiche.
Il colore è un bel giallo paglierino abbastanza carico e ben limpido. I profumi, discretamente intensi e di grande eleganza, mi fanno tornare in mente un grandissimo sauvignon francese che cresce su terreni vulcanici, il "Silex". Le note che emergono principalmente sono peperone verde e pesca gialla, poi una nota minerale, quasi di pietra focaia. Davvero notevole!
In bocca si dimostra salino, di grande struttura ma senza aggressività. Si sente anche qui moltissimo il tipico peperone del sauvignon e la frutta a pasta gialla, ma il tratto che rende così particolare questo vino è la nota di affumicatura nel finale, che permane per parecchio tempo.
Ha accompagnato benissimo una saporitissima insalata di patate, fagiolini e filetto di sgombro, ma la sua mineralità gli permette di affiancare tranquillamente anche piatti di carni bianche.
Davvero impressionante in relazione al prezzo non particolarmente elevato. Un vino da ri-acquistare più e più volte per il futuro!

lunedì 15 settembre 2008

E’ sempre un piacere quando si ha modo di provare un vino dal prezzo “moderato”, che anche se costasse il doppio verrebbe da dire “che li varrebbe comunque tutti”.E’ il caso del CROGNOLO 1999 del produttore Tenuta Sette Ponti, in provincia di Arezzo.L’ho pagato attorno ai 15 euro ma può far tranquillamente sfigurare molti vini di eccellenti nomi che costano due o tre volte tanto. Si tratta di un assemblaggio di sangiovese (per circa il 90%) e merlot, e questo stesso vino lo avevo assaggiato qualche anno fa’ (ora non ricordo quando); sinceramente allora non mi aveva entusiasmato granché, però l’idea che potesse migliorare con un po’ di affinamento in più mi ha fatto venir voglia di stapparne un’altra bottiglia venerdì scorso. E’ stata una grande sorpresa!!!
Il colore dava proprio l’impressione di una maturità ottimale, quel rosso non troppo carico ma con qualche sfumatura “mattone”, che indica gli anni passati in bottiglia.Ottimi profumi di frutta rossa matura e di rosa, decisamente intensi, con un lieve e gradevole finale di cioccolato. Al gusto ha rivelato un notevole corpo e una buona struttura, per niente aggressiva, anzi, perfetta da abbinare a secondi piatti di carne, anche moderatamente corposi. Vi ho ritrovato specularmente i profumi avvertiti poco prima, soprattutto la frutta rossa, prugna e mora, ma con una dolcezza che amalgamava il tutto in maniera davvero piacevole. Buona anche l’eleganza e la finezza al palato, non eccelsa ma ben apprezzabile. Una nota leggermente affumicata nel finale ha confermato i quasi 9 anni passati dalla vendemmia delle uve.Un notevole rapporto qualità/prezzo, e una palese dimostrazione di quanto certi vini possano rendere al meglio solo con i giusti anni di invecchiamento.

giovedì 11 settembre 2008

Si inizia alla grande anche con i rossi!!!

Sabato scorso, prima del Vin San Giusto di cui ho scritto nel precedente post, abbiamo voluto bere un rosso di altrettanto grande livello, almeno così viene riportato nelle guide e nelle letture di settore, e infatti (questa volta) non posso che confermarlo.Si tratta del merlot “Messorio” 2000 dell’azienda Le Macchiole, con sede a Bolgheri (Toscana).
L’azienda è molto conosciuta dagli “addetti ai lavori” per una serie di etichette ben blasonate (anche se non per tutte le tasche) che hanno saputo tenere alta l’eccellenza dei vini italiani nel mondo. Questo è il primo vino rosso di cui parlo nel mio blog, e sono contento che si parta anche in questo caso con un grande nome, così come è stato per i vini bianchi con il Salon 1988.Il colore è perfetto, quel rosso rubino non particolarmente carico con qualche riflesso granata che ci si dovrebbe aspettare da un merlot con gli anni passati in bottiglia che ha il nostro Messorio. Al naso si rivela un vino decisamente elegante, ricorda parecchio i grandi merlot francesi, con profumi molto fini nei quali si notano prevalentemente un buon sentore di viola, di mora e di altri frutti di bosco. Nulla di pungente o di stonato, però (badate bene che si tratta di gusti personalissimi) avrei preferito un po’ di maggiore intensità; invece per scorgere tutta la gamma olfattiva è stato necessario spingere il naso ben dentro al bicchiere.Ma è in bocca che questo vino si rivela all’altezza della sua fama: morbidissimo, elegante, direi quasi “vellutato”, con una vena leggermente dolce che fa rimanere incantati per qualche secondo quasi a gustarsela fino alla fine. Non presenta un gran corpo, la struttura non è aggressiva e, sinceramente, in un merlot toscano deve essere considerata davvero un pregio, un segnale della maestria di chi ha saputo creare una simile opera. Sicuramente da ricordare!!!

Un vero "vino da meditazione"

Anche questa volta mi trovo a ringraziare un carissimo amico di lunga data che ha deciso di condividere con noi un’altra grande “opera enologica”.
Si tratta di un vino dolce, per la precisione del “Vin San Giusto” 1999 della Fattoria San Giusto a Rentennano in Toscana. E’ composto dal 90% di uva malvasia bianca e dal 10% di trebbiano toscano. Le uve vengono pigiate dopo 140 giorni di appassimento in locali areati, dove raggiungono una concentrazione zuccherina davvero interessante. Successivamente il mosto viene lasciato in caratelli di castagno di capacità variabile per ben sei anni, dove avviene una lenta ma (visto il risultato) eccezionale fermentazione.
La resa in prodotto finale, come potete immaginare, è molto bassa ma di una concentrazione davvero strabiliante.
Infatti, già a versarlo nel bicchiere si nota la densità e la viscosità di questo vino… sembra quasi oleosa, e questo fa presagire una potenza gustativa che non tarderà ad arrivare. Il colore è ambra scuro, sembra quasi miele di castagno… o di cardo (se mai vi fosse capitato di vederli). Avvicinando il bicchiere al naso si fa sentire l’energia dei profumi, caldi e complessi, con una vena leggermente affumicata, su cui spiccano sopra tutti noce e fichi.
Dalla gamma di sensazioni olfattive ci si aspetta un vino dal gusto caldo e stucchevole… e invece si rimane sbalorditi dalla grande freschezza che lascia sulla lingua. Questo è merito dell’ottima acidità di questo prodotto, che quindi invoglia subito a prenderne un altro sorso. In bocca esplode in un assieme di gusti davvero ben miscelati con una piacevole dolcezza, tra cui emergono ancora i fichi e la frutta secca. Il finale è lievemente amandorlato e dura per almeno un paio di minuti dopo aver deglutito.
Altra nota degna di essere sottolineata è che questo vino fa solo 11 gradi alcolici e non contiene assolutamente anidride solforosa!!! Questo dimostra ancora di più la singolarità della tecnica di vinificazione e la bravura del produttore.
Davvero un prodotto eccezionale, veramente un ottimo esempio di quelli che vengono definiti “vini da meditazione”, in quanto va assaporato da solo, lentamente, senza accompagnamenti… lasciando che la mente vaghi guidata dai sensi.
Unica nota negativa (ma non sul vino, che difetti non ne ha!!!) è che per colpa di un disciplinare di produzione troppo rigido e “vecchio”, questa grandissima etichetta non può può fregiarsi della denominazione di “Vin Santo Toscano”… Personalmente la trovo una gran perdita per il Consorzio non avere nelle proprie fila un così grande rappresentante dell’eccellenza dei vignaioli toscani.

mercoledì 3 settembre 2008

Un piacevole contrasto

Questa volta vi racconto di un vino che ho trovato davvero particolare, in quanto decisamente contrastante tra profumi e gusto. Si tratta del Vigneti delle Dolomiti IGT “FAYE” bianco 2001 del produttore Pojer e Sandri.Si tratta di un assemblaggio di chardonnay e pinot bianco fatto in Trentino, quindi con uve maturate relativamente “in quota”. Questo dovrebbe farci aspettare un vino dai grandi profumi, ed in effetti non delude.L’età e il tempo passato in bottiglia si notano nel colore, bel giallo paglierino carico e limpido. Al naso l’intensità non è marcata, ma c’è quanto basta per far ben individuare tutte le componenti: bellissimi fiori, segno della quota, come primo impatto, poi la tipica frutta a pasta gialla dello chardonnay… ananas in primis. Tutti aromi molto dolci, che fanno quasi tornare alla mente gli chardonnay austriaci. Non viene granché fuori il pinot bianco… ma quest’ultimo si fa ben sentire in bocca.Il gusto è secco davvero in contrasto con le sensazioni olfattive, ben sapido ma mai aggressivo. Si sente molto meno lo chardonnay, se non nel finale. Non particolarmente complesso ma la differenza rispetto ai profumi ha davvero sorpreso e non si trova spesso in vini di quella zona. Il contrasto non ha comunque guastato la piacevolezza iniziale, anzi… è stata quel “tocco in più” che ha fatto destare l’interesse.Un’ultima nota sull’uso della barrique, che è stato davvero ottimale. Si sente appena… anzi all’inizio avremmo quasi pensato che facesse solo acciaio.E per concludere, osservazione fondamentale, dato che i vini da tavola sono il naturale complemento alle pietanze, ha accompagnato splendidamente i “fusilli allo scoglio” che avevamo nei piatti.

lunedì 1 settembre 2008

Si parte alla grande!!!

L’idea di aprire questo blog mi è venuta la sera di ferragosto, dopo aver degustato il vino che mi accingo a descrivere, in quanto si tratta di uno di quelli che mi hanno impressionato maggiormente negli ultimi anni e siccome si tratta di un pezzo di storia “in bottiglia”, volevo raccontare un po’ via web questa esperienza.Non parlerò sempre di vini così “altisonanti”, però mi sembrava una buona cosa aprire i miei post enologici con una delle vette dell’enologia mondiale. Infatti il vino è uno dei migliori del pianeta (a detta dei grandi esperti) e si tratta dello champagne SALON “Le Mesnil” 1988. E’ un blanc de blanc, quindi fa parte di quella classe prodotta senza pinot noir, che in molti casi è componente principale degli champagne. Addirittura, questo vino per scelta e tradizione è addirittura chardonnay in purezza, ovvero fatto solo con questa uva e di un unico piccolo appezzamento di terreno, “Le Mesnil”, appunto.Eravamo in cinque persone a condividerlo, quindi ho avuto modo di degustarlo bene e in un paio di bicchieri a distanza di una decina di minuti uno dall’altro. Già dal bicchiere faceva presagire una complessità fuori dal comune, con il suo colore giallo oro intenso, arricchito dagli anni passati in sapiente attesa in bottiglia. Un perlage (le bollicine che salgono nel bicchiere) non erano evidentissime, d’altronde pensiamo a quanti anni sono passati dalla sboccatura, comunque ritengo fosse presente “il giusto” per risaltare senza dare fastidio.
Il naso è stato un’esplosione di fiori freschi, di uva appena spremuta (incredibile!!!), di ananas, pera e (ovviamente) l’immancabile crosta di pane, tutti miscelati in maniera perfetta, nemmeno una sbavatura, una parte pungente o predominante sulle altre. Quasi impressionante l’intensità dei profumi freschi malgrado ci trovassimo a quasi vent’anni dalla vendemmia.Il gusto è stato intensissimo, pieno e rotondo, non particolarmente secco, anzi con una venetta acida e fresca che invitava subito a prendere un altro sorso. Rotondo e complesso, sono questi i termini che usano gli addetti ai lavori per indicare un vino che offre una gamma ampia di sensazioni gustative, dal dolce all’amandorlato, senza averne una che predomini e “sgomiti” sulle altre. E questo Salon è proprio così!!! E poi una lunghezza dopo il sorso… passati un paio di minuti buoni c’era ancora il gusto stampato sulla parte finale del palato.
Insomma… di certo non un vino alla portata delle “tasche medie”, e proprio per questo non finirò mai di ringraziare la persona che ha gentilmente deciso di stapparlo in nostra compagnia, ma un’esperienza che gli appassionati dei grandi vini dovrebbero fare, almeno una volta nella vita (molto probabilmente una sola volta nella vita, visto cosa costa). Ora resta la memoria… altri champagne assaggiati nelle ultime settimane mi sembrano “vinelli da tutti i giorni” al confronto!!!

domenica 31 agosto 2008

Due parole su questo blog

Buongiorno a tutti!!!
Questo blog nasce con il semplice e unico intento di raccontare le mie sensazioni e le mie idee su vini che di volta in volta mi capita di assaggiare.
Mi preme evidenziare che i giudizi saranno esclusivamente MIEI PERSONALI o al massimo corredati da pareri emersi da amici che abbiano degustato il vino in mia compagnia. La mia speranza è quella di dare qualche "dritta" a chi, come me, vuole coltivare questa bellissima passione senza eccessi, bevendo bene (a volte molto bene!!!) e magari spendendo il giusto, con NESSUN INTENTO COMMERCIALE O PUBBLICITARIO.

In questo blog non troverete mai una recensione "negativa", ma cercherò sempre di nominare e commentare vini che ritengo personalmente davvero buoni!!!
Per questo l'aggiornamento e i post non saranno regolari, ma avverranno ogni qualvolta avrò assaggiato un vino nuovo che valga la pena di essere suggerito.
Ogni commento, concorde o discorde che sia, sarà ovviamente ben accetto.
A presto!!!