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lunedì 9 marzo 2009

Quando un brunello è fatto bene...

Quando un Brunello di Montalcino è fatto bene non ce n’è per nessuno. Questa è la frase che mi è frullata in testa durante la cena di sabato scorso, quando abbiamo assaggiato a distanza di due anni dalla prima volta il Brunello di Montalcino RISERVA 1999 del produttore Soldera. Un campione assoluto, non c’è che dire, un vino memorabile che ora sembra essere giunto al grado di affinamento ottimale.
Già nel bicchiere mostra un rosso rubino vivo e brullante ma per niente carico, quindi proprio quello che ci si deve attendere da un vino di 10 anni prodotto con sola uva sangiovese (e per la precisione con il clone “grosso” o Prugnolo Gentile).
Al naso ha mostrato una gamma di profumi intensi, ma finissimi ed elganti, senza una sola stonatura, in cui hanno prevalso dapprima dolcissime note floreali di rosa rossa e di viola, poi in seconda battuta accompagnate da ciliegia matura e amarena. Incredibile l’intensità così forte ma mai invadente, segno di avere a che fare anche in questo caso con un assoluto fuoriclasse. Qualcuno si è addirittura azzardato ad affiancare la gamma olfattiva a quella di un grande Borgogna... e francamente non riesco a dargli torto!
All’assaggio ha rivelato un aspetto differente rispetto ai profumi, con una prevalenza anche qui di ciliegia e marasca, accompagnata splendidamente da sentori di mora e altra frutta rossa matura. La struttura è presente ma non dominante, con tannini leggerissimi che scivolano via come “vellutati” sulla lingua. Presente anche una vena di dolcezza davvero piacevole che si amalgama benissimo a tutte le altre componenti.
C’è poco da dire… esisteranno sul mercato tanti prodotti mediocri che si fregiano dell’appellativo di Brunello di Montalcino, e magari il loro prezzo è comunque spinto a cifre gonfiatissime da avidi produttori, ma quando questa zona della provincia di Siena decide di dare il meglio di sé (come nella bottiglia di cui vi sto raccontando) ne vengono fuori prodotti unici di una qualità eccelsa e si capisce davvero quali siano i veri portabandiera che hanno fatto grande l’enologia italiana nel mondo.

martedì 24 febbraio 2009

Accoppiamento tra muffe

Tranquilli... il titolo non si riferisce a nulla di "pornografico"!!!
Qualche post indietro avevo indicato l’amarone della Valpolicella come il miglior abbinamento con i formaggi stagionati, e lo riconfermo in pieno. Ma in assoluto con i grandi formaggi “erborinati”, ovvero quelli che vedono la presenza della muffa chiamata penicillium roqueforti, che dona con le sue spore le famose venature verdi/azzurre di alcuni formaggi famosi, l’abbinamento perfetto si ha con i grandi sauternes.
Quest’ultimi, per chi non lo sapesse, sono dei vini bianchi francesi prodotti nelle vicinanze di Bordeaux, prodotti con uve i cui acini vengono fatti attaccare dalla muffa chiamata botrytis cinerea (dagli addetti ai lavoro chiamata amichevolmente “muffa nobile”), la quale dona particolari aromi ed una dolcezza naturale al vino da rendere i sauternes probabilmente i migliori vini dolci al mondo. La scoperta delle proprietà incredibili di questo micro-organismo sembra sia avvenuta in maniera casuale fin dal Medioevo. Pensate che la prima testimonianza scritta di vini prodotti con uve attaccate da muffa nobile risale alla vendemmia del 1660 nel podere del famosissimo Chateau d’Yquem.
Questi vini, se bevuti giovani sono estremamente dolci e mielosi, forse anche troppo stucchevoli, ma dopo alcuni anni di invecchiamento in bottiglia, modificano tale aspetto per diventare, seppur comunque tendenzialmente dolci, vini con espressioni e sfumature incredibilmente variegate e particolari.
Quindi ecco l’occasione di una cena proprio in compagnia di alcuni formaggi erborinati (per la precisione un “Blu del Monviso”, un “Raschera” di media stagionatura ed un “Blue Stilton” inglese), che ci ha fatto stappare un sauternes 1er cru CHATEAU GUIRAUD 1990. Si tratta di uno dei grandi fuoriclasse dell’enologia mondiale e non ha tradito le aspettative!!!
Fin da prima dell’apertura (la bottiglia è di vetro incolore, quindi si poteva notare molto bene) ha mostrato una tonalità ambrata carica che faceva presagire una concentrazione notevole.
Al naso ha liberato dolcissimi profumi di miele (oserei addirittura precisare miele di castagno o di cardo), di mandorle e fichi secchi, accompagnate da un sottofondo floreale, in cui prevaleva l’acacia, molto intensi ma allo stesso tempo eleganti, in cui nessuna delle sfumature mostrava un benché minimo accenno di eccesso o stonatura.
Al gusto ha mostrato una concentrazione e un’intensità memorabile… personalmente direi nella sua categoria seconda solo allo Chateau d’Yquem 1986 che ho assaggiato qualche anno fa’ (e che per il momento rimane ancora irraggiungibile!!!). Si sente più che presente la naturale e piacevolissima dolcezza, accompagnata da sentori amandorlati, di frutta secca, spezie e miele, tutto perfettamente amalgamato e di notevole intensità (ma, badate bene, mai senza armonia). Il finale è lunghissimo con un sentore di mandorla che rimane in bocca per interi minuti dopo il sorso.
Un grande vino, sicuramente non economico, ma che vale il suo prezzo. Si è sposato alla grande con altrettanto grandi formaggi, a testimoniare ancora una volta quanto i prodotti tipici siano un bene da difendere e promuovere.

giovedì 12 febbraio 2009

Qualcosa di nuovo

Ogni tanto capita di avere a che fare con qualche vitigno “inusuale”, e questo suscita sempre in me una grandissima curiosità. Per questo appena ho avuto modo di acquistare e stappare il WILDBACHER 2006 dell’azienda dei Conti di Collalto non mi sono lasciato scappare l’occasione.
Si tratta di un’uva a bacca rossa (blauer wildbacher, appunto) originaria della Stiria, in Austria, che qualcuno della famiglia dei Conti di Collalto ha importato e piantato nella loro tenuta nell’alta pianura trevigiana.
Il vino in effetti si è rivelato molto diverso da quelli fatti con le uve che conoscevo finora, e nel complesso il giudizio è positivo.
Innanzitutto ha mostrato un colore blu scuro quasi impenetrabile, che mi aveva quasi fatto pensare ad un vino polposo ed iper-tannico, forte e astringente… Infatti spesso gli antociani (responsabili della colorazione dei vini rossi) si accompagnano parallelamente ai tannini (i responsabili dell’effetto “astringente” dei vini rossi), invece si è mostrato sorprendentemente morbido.
Al naso ha rivelato sentori molto fini di viola e mirtillo, per niente aggressivi, anzi potrei dire quasi scarichi di intensità, ma forse questo era dovuto alla temperatura non perfetta a cui ho effettuato l’assaggio (il vino era, probabilmente, ancora un po’ freddo).
In bocca invece si è mostrato discretamente elegante, con una leggera ma perfettamente indivuabile predominanza di mora matura, accompagnata da un sottofondo leggermente erbaceo. L’astringenza del tannino non si è mostrata prorompente come mi aveva inizialmente suggerito il colore intenso, invece si è rivelata lieve e solo immediatamente prima del sorso.
Diciamo che non si tratta di un grande vino, non ha rivelato né grandi sfumature, né una particolare intensità nelle sensazioni, ma di certo si tratta di un prodotto ben equilibrato, senza difetti rilevanti e di facile abbinamento anche con portate relativamente “semplici”.
Se poi teniamo conto che è costato meno di 5 euro a bottiglia, direi che l’acquisto è stato proprio ben fatto.

mercoledì 7 gennaio 2009

Un capodanno coi fiocchi

Il capodanno è l’occasione in cui si brinda tradizionalmente all’anno nuovo, e per noi appassionati è il momento in cui si stappa qualche grande bottiglia. Il titolo richiama sicuramente il fatto che abbiamo bevuto molto bene, ma anche, tra l’altro, che qui da noi, ha nevicato parecchio quella notte. Comunque in questo blog parliam di vino e non di meteo…
Anche in questo caso devo ringraziare un caro amico (nonché nostro “maestro” in questo campo), che tra le altre bottiglie del cenone ha deciso di effettuare una “gara” tra due grandissime e storiche etichette.
Per la precisione il confronto è stato tra un FLACCIANELLO DELLA PIEVE 1988 del produttore Fontodi (di questo vino ne avevo raccontato qualche settimana fa’ in occasione di un’altra bottiglia dello stesso anno) e un TIGNANELLO 1990 di Antinori.
Si tratta di due vini che fanno parte dei grandi toscani, tra i più rinomati al mondo, ed entrambi nascono nella zona del Chianti. Il Flaccianello è fatto con 100% di uva sangiovese, mentre il Tignanello è sempre sangiovese ma è tagliato con del cabernet sauvignon (se non ricordo male per circa un 20%).
Tutte e due le bottiglie sono state aperte con discreto anticipo, per dar modo al vino di aprirsi a sufficienza, ma fin dalla prima annusata le sensazioni sono state molto diverse. Non mi soffermo troppo sul Flaccianello, visto che gli ho già dedicato un intero post. Posso comunque dire che si è confermato un assoluto fuoriclasse come ne avevo raccontato la volta scorsa… Eccezionale!!!
Il Tignanello invece ha presentato fin da subito un colore leggermente più scuro e intenso, meno granata, sicuramente dovuto al cabernet.
Al naso ha immediatamente fatto salire aromi intensi e fruttati, con prevalenza di mora matura e viola, ben sostenuti da speziature e una nota che ricordava il cioccolato fondente di sottofondo. Per niente aggressivi, tutti questi sentori erano perfettamente amalgamati in un delicato e elegantissimo bouquet.
Mi aspettavo sinceramente un’evoluzione più marcata nel tempo, e invece col passare dei minuti si è rafforzata la gamma appena indicata, ma senza effettive variazioni nel contenuto. Invece il Flaccianello ha mostrato un’evoluzione ben più evidente, esattamente come descritto la volta scorsa.
In bocca il Tignanello ha confermato l’eleganza e la morbidezza di tannini che gli è leggendaria, con il cabernet a dare un lievissimo finale erbaceo, ma davvero appena percettibile. In prevalenza la mora e le spezie hanno danzato sulla lingua senza che vi fosse il minimo accenno di astringenza o di asprezza. Anche in questo caso però, i sentori iniziali si sono mantenuti nelle stesse proporzioni fino alla fine della bottiglia, quasi un’ora e mezza dopo, con poca evoluzione, pur senza mostrare difetti. Il flaccianello invece ha anche in questo caso mostrato un’evoluzione temporale evidente, lasciando prevalere all’inizio spezie e tabacco e successivamente la frutta rossa, per tornare infine allo speziato.
Due vini molto diversi insomma, con differenze che sono state rese ancora più evidenti in vini così “vetusti”, rispetto a quelle che si sarebbero evidenziate dopo pochi anni dall’imbottigliamento.
Non me la sento di definire un vero vincitore, entrambi sono stati all’altezza della grande fama che li riveste… semplicemente sono stati… differenti.
Potrei rivelare a gusto personale quale sia stato “tecnicamente” migliore (forse è intuibile dal mio racconto), ma non sarebbe corretto… buonissimi entrambi.