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lunedì 28 marzo 2011

Il primo amore non si scorda mai

Era il lontano millenovecento… “e rotti” (non chiedetemi a quanto ammonta il “e rotti”, ché non me lo ricordo più), quando un mio carissimo amico ci ha inviato a cena in un ristorante del veneziano e ha ordinato come vino un LE STANZE dell’azienda agricola Poliziano (forse si trattava del 1995... Boh?), facendomi così assaggiare per la prima volta in vita mia un grande vino importante. Fino ad allora avevo conosciuto solamente banalissimi vinelli del contadino “dietro casa”, quelli che bevevo mio padre a tavola, che per quanto, magari, discreti non avevano nulla a che vedere con i grandi vini italiani.
Infatti, fino a quel periodo, ero stato un gran cultore delle birre speciali, che mi attiravano molto più del vino, ma da quell’occasione, dalla stupefacente impressione che mi fece quel taglio bordolese toscano, è iniziata la mia grande passione per il mondo del vino, che come vedete è cresciuta negli anni e perdura ancora oggi.
Bene, questo sabato sera, a cena con quello stesso amico, abbiamo pescato dalla mia personalissima cantina proprio un LE STANZE annata 2001, dopo anni e anni che non mi capitava più di aprirne uno.
Rispetto a quello che avevo bevuto la prima volta anni addietro, ai classici cabernet sauvignon e merlot si è aggiunta una piccola percentuale di sangiovese, con l’intento di donare una maggiore freschezza e una maggiore complessità a questo prodotto, che già era entrato di prepotenza negli anni addietro nell’olimpo dell’enologia toscana.
Questo 2001 al bicchiere ha mostrato un rosso rubino scuro e impenetrabile, notavo con pochi riflessi granati per i suoi 10 anni di maturazione, primo segnale che mi ha fatto intuire ancora le grandi potenzialità per un ulteriore invecchiamento.
Al naso ha mostrato un’esplosione di confetture e di frutta stramatura, in primis prugna, mora nera e marasca, attorniate da una miriade di piccole sfumature, spezie, pepe nero e polvere di cacao amaro. Chiude l’olfatto con un accenno di tostatura, poco percettibile, ma presente, che ha donato un tocco di complessità ad un insieme di sensazioni già molto variegato e potente, ma molto ben equilibrato nella sua intensità.
In bocca ha mostrato una notevole struttura e una concentrazione invidiabile, pur mantenendo una facilità di beva e una freschezza che non ti aspetti. Anche qui ha prevalso immediatamente il cabernet sauvignon, subito individuabile con la sua confettura di prugna stramatura e cassis, seguito a ruota dal merlot, con la sua marasca viva e presente e una piacevole mora matura. Chiude con una variegatissima gamma di speziature e di sentori terziari, tra cui spiccano tabacco da pipa e cacao, attorniati da una lunga, delicata e piacevole nota vegetale.
Assolutamente un vino da ricercare, acquistare e conservare, data la grande potenzialità di ulteriore invecchiamento; se poi riuscirete a trovarne più di una bottiglia, una lasciatela in cantina e una apritela a breve. Sentirete che grande sorpresa!!!
E’ stato bello avere la riconferma, dopo tanti anni, che il prodotto che mi ha fatto entrare nel mondo dei grandi vini è rimasto un assoluto campione dell’enologia italiana.

venerdì 18 marzo 2011

Ho sbagliato... per fortuna!!!

Qualche giorno fa’, mentre in enoteca stavo scegliendo qualche bottiglia da tenere a casa, mi sono imbattuto in uno scaffale di Chianti Classico 2004 del produttore Fontodi, che conosco molto bene, dato che non manco mai di far loro visita ogni volta che faccio un salto in terra di Toscana (sono gli stessi che producono il Flaccianello della Pieve di cui ho già parlato ampiamente).
L’annata 2004 è stata abbastanza buona nella loro zona e nel Chianti in generale, quindi dato anche il prezzo relativamente basso (sui 14 euro in enoteca) non ho esitato nemmeno un istante. Purtroppo (o per fortuna), ho la dannata abitudine di confrontare controluce due/tre bottiglie dallo stesso scaffale per verificare eventuali cali di livello, che di solito è presagio di tappo fallato (LO SO: questa cosa si fa con i vini particolarmente invecchiati, ma mi viene automatico farlo sempre… Sarò mentalmente deformato, che volete farci?). Un mio amico dice che secondo lui lo faccio per scegliere la bottiglia dove c’è più contenuto… Bah, magari avrà pure ragione!!! Ahahahahah…
Comunque sia, per una possibile svista del commesso dell’enoteca, oppure per distrazione di un cliente precedente, fatto sta che nello scaffale dell’annata 2004, era presente una bottiglia del 2005. Io purtroppo non ci ho fatto caso, e fatalità mi sono portato a casa per errore proprio quella!
Purtroppo il 2005 in Toscana è stata un’annata altalenante, che ha dato, per carità, alcune sorprese positive, ma in linea generale risulta qualitativamente inferiore alla precedente. Per questo, quando ho riposto la bottiglia nella mia cantina e ho guardato bene l’etichetta ho arricciato un po’ il naso e ho detto, vabbè… questa non vale la pena farla invecchiare, me la bevo stasera. E ho fatto proprio bene!!!
Questo Chianti Classico 2005 di Fontodi rientra sicuramente in quelle “sorprese” positive della sua annata che citavo poco fa’. Al bicchiere ha mostrato un bel rosso rubino discretamente carico, con una leggerissima unghia granata, ma mi vien da dire che forse c’era e forse no. L’intensità del colore mi ha subito confermato quello che effettivamente già sapevo, ovvero che oltre al sangiovese è presente una buona percentuale di qualche altro vitigno ben carico di colore, nella fattispecie il cabernet sauvignon (se non ricordo male presente per circa il 30%).
Al naso mi ha stupito per la buona intensità delle sensazioni fruttate, davvero ben amalgamate: marasca matura in primis, seguita poi da mora, prugna, cassis (il cabernet si sentiva in maniera inequivocabile) e da un bel tappeto speziato.
In bocca è partito subito di buona struttura, discretamente concentrato e abbastanza tannico (pur mantenedo una discreta acidità e un ottimo equilibrio), richiamando la marasca matura sentita all’olfatto in primo impatto, ma poco dopo è emersa iconfondibile la prugna matura del cabernet sauvignon, che è sfumata poi in una sensazione di spezie e in una chiusura piacevolmente erbacea a fine sorso. Molto piacevole e invitante alla beva.
Pensavo di aver preso una cantonata nell’aver sbagliato bottiglia, e invece tornerò presto in negozio a prenderne un’altra, magari assieme ad una del 2004 per una mini verticale da fare in compagnia.
E Magari stavolta mi ricorderò di far caso alle etichette!!! Mannaggia a me…

lunedì 14 marzo 2011

Il gusto di saper aspettare

Ho parlato in più occasioni del fatto che alcuni vini diano effettivamente il meglio se degustati con i giusti anni di invecchiamento. Per questo, sabato sera ho fatto un salto sulla sedia quando un mio amico ha portato a cena una bottiglia di Barolo Riserva 1989 di Giacomo Borgogno, assieme ad un altro barolo del 1997 che non citerò.
Questo perché, il più vecchio dei due ha decisamente surclassato il più giovane, senza diritto di replica!!! Aggiungo (e sottolineo) che quel barolo del 1997 è stato affinato completamente in barriques, e si è mostrato tendenzialmente più corposo, tannico e concentrato… quello che di solito definisco un vino “muscoloso”, mentre il nostro Borgogno del 1989 ha fatto esclusivamente “botte grande”, quindi affinato come prevede la “vecchia scuola” dei Barolo.
Personalmente, sono molto più vicino a questo modo tradizionale, che porta a vini di eccezionale longevità, magari non di pronta beva da giovani, ma che sanno raggiungere eleganza e complessità senza paragoni dopo il giusto invecchiamento. E infatti i 21 anni del protagonista di questo post hanno pienamente confermato che, con la giusta attesa, i grandi Barolo, che nascono già di per sé come ottimi vini, sanno diventare prodotti assolutamente eccezionali.
Ma veniamo alle mie note di degustazione. Il colore di questo ’89 si è mostrato di un bel rosso rubino con bei riflessi granati tipici dell’invecchiamento quasi in contrasto con una limpidezza viva, da vino quasi giovane. Altra cosa che mi ha sorpreso è l’aver notato pochissimo deposito sulla bottiglia dopo averla terminata; pensavo di trovarne molto di più, tanto che avevo quasi ipotizzato inizialmente di utilizzare il decanter… e invece, se l’avessi fatto, si sarebbe rivelato superfluo.
Dopo il necessario tempo di ossigenazione, al naso ha mostrato subito un’esplosione di sentori di frutta rossa, ciliegia e lampone sopra agli altri, davvero di grande intensità. Un tappeto di tabacco e una coda di altre piccole sensazioni terziarie facevano da elegantissimo contorno al fruttato predominante, contribuendo a rendere il “naso” di questo vino allo stesso tempo piacevolmente inteso e fine.
Appena messo in bocca il primo sorso ho esclamato tre parole: “ciliegia, pepe e caffè!”, e infatti erano queste le tre sensazioni principali e predominanti al palato, che si susseguivano proprio nell’ordine in cui le ho scritte. Poi, approfondendo maggiormente l’assaggio, sono emerse altre sensazioni fruttate che si affiancavano alla principale, quali il lampone sentito precedentemente all’olfatto e un’accenno di mora da gelso. Il pepe nero era davvero vivo e presente, segnale di un’ottima evoluzione in bottiglia, affiancato poi da tabacco da pipa, cacao amaro e un bel finale lungo di caffè. Il tannino era presente, ma si è fatto sentire poco, lasciando che il vino mostrasse un’eleganza e una finezza quasi degna dei grandi pinot noir francesi.
Concludo lasciando comunque la porta aperta all’altro barolo, quello del 1997, che secondo me… assaggiato tra una decina d’anni… sarà probabilmente all’altezza!
Se sarà così, io sarò pronto a scriverne.

martedì 8 marzo 2011

Un vasetto di marmellata di ciliegie?

Aver a che fare col mondo dei blog porta, tra le altre cose, anche gradite sorprese come questa di cui mi accingo a scrivere. Infatti è successo quasi per caso che capitassi  sul blog dell’amico Gianpaolo Paglia, proprio quando aveva appena scritto della loro nuova uscita enologica. Si tratta del ciliegiolo in purezza VALLERANA ALTA annata 2008 (la prima) prodotto dal vignaiolo Antonio Camillo in collaborazione con l’azienda di Gianpaolo, Poggio Argentiera.
Data la novità del vino, di cui potete leggere alcune informazioni sul sito di Poggio Argentiera, Gianpaolo ha deciso di seguire anche questa volta la consuetudine che l’ha contraddistinto tra gli appassionati enoici e internauti, ovvero di scegliere un ristretto numero di bloggers a cui far assaggiare il proprio vino, dando così la possibilità di scriverne liberamente sul web, senza moderazioni e senza censure.
Mi complimento con lui e con tutta la sua azienda per la volontà di “mettersi in gioco” con i diretti consumatori, invece di limitarsi a comparire sulle guide e sulle riviste di settore; secondo me è un grande segnale di serietà e di attenzione verso la clientela finale, che (alla fin fine) è quella a cui deve piacere effettivamente il vino.
Come dicevo, sono entrato a far parte dei 5 fortunati che hanno avuto la possibilità di assaggiare questo nuovo prodotto in assoluta anteprima, per puro caso, dato che ho risposto tra i primi, perché non potrei sicuramente gareggiare per competenza e visibilità con altri bloggers, decisamente più esperti di me. Comunque sia il vino è arrivato puntuale la scorsa settimana e la curiosità me lo ha fatto aprire quasi subito, domenica sera.
Innanzitutto, devo premettere che l’ho trovato ben diverso dal primo ciliegiolo che avevo assaggiato prodotto sempre dalle stesse persone, il Principio di cui avevo raccontato qualche mese fa’.
Ho notato la differenza fin dal colore nel bicchiere, più carico, di un bel rosso rubino vivo, con un’unghia di granatura leggera a bordo bicchiere, pur mantenendo una buona trasparenza.
Avvicinando il naso al bordo, si è fatta sentire immediatamente una ventata di ciliegia matura, evidente e nitida come in poche altre occasioni, attorniata da una leggerissima speziatura e da una fine nota legnosa, che si è attenuata con il passare dei minuti. Mi è piaciuta molto l’intensità del profumo, avrei forse preferito un pochino di varietà nelle note fruttate, che invece hanno mostrato solo questa carica e preponderante ciliegia (accompagnata, forse dopo un’oretta dall’apertura, da un leggero profumo di viola, quasi timido a mostrarsi, ma questa sensazione era forse più cercata da me che effettivamente percepita). Non so dire se la monovarietà della frutta dipendesse da una mancanza di altre sensazioni o dall’effettiva preponderanza della nota principale.
Sembrava quasi di aver messo il naso in un vasetto di marmellata di ciliegie, più che in un bicchiere di vino. Sicuramente non un difetto, ma diciamo probabilmente una caratteristica intrinseca, dato il vitigno (ciliegiolo, appunto…). Mi piacerebbe sapere se questo fosse un risultato effettivamente cercato dai produttori, o se derivi dal terroir della zona.
In bocca ha mostrato una discreta struttura, forse più vicina ad un sangiovese “base”, che ad un tipico ciliegiolo, ma del resto i due vitigni sono molto imparentati tra loro. In ogni caso la corposità non si mostra assolutamente eccessiva, anzi rimane una buona freschezza e una grande bevibilità. I tannini sono presenti ma non spiccano, sembrano quasi fluidi, pur donando una morbida astringenza, e lasciano emergere (finalmente!!!) anche un po’ di complessità nelle sensazioni fruttate rispetto al naso. Predomina, manco a dirlo, una bella confettura di ciliegie, attorniata da una bella sensazione di prugna matura e mora nera, con un finale discretamente lungo, piacevole e lievemente speziato.
Un prodotto assolutamente da consigliare per chi volesse prendere confidenza con un buon ciliegiolo di Maremma; ancora di più se teniamo in considerazione che questo vino sarà messo in vendita attorno ai 14 euro in azienda... Sicuramente ben spesi!