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giovedì 9 dicembre 2010

Chissà perché l'hanno chiamato ciliegiolo?

Mi era capitato in una sola altra occasione parecchi anni fa’ di assaggiare un vino prodotto con 100% di uva ciliegiolo. Si trattava di un vino toscano di cui non ricordo il nome, ma l’annata sì: il 1999 (considerata un’ottima annata in Toscana), e anche in quella occasione mi era rimasto un ricordo più che piacevole.
Proprio ieri sera ho avuto modo di provarne un altro, che si chiama PRINCIPIO, prodotto in piena Maremma da Antonio Camillo, con la collaborazione della più nota e blasonata azienda Poggio Argentiera, e l’annata è l’ultima, il 2009 (fatalità a 10 anni esatti dalla prima volta… Guarda a volte le coincidenze!)
Il ciliegiolo è un vitigno che in Toscana viene utilizzato spesso come aggiunta al più famoso sangiovese, è presente qualche volta nel chianti, molto spesso nel morellino e nei vini di altre denominazioni di quella regione.
Manco a dirlo, il nome stesso indica quale sia la sua principale caratteristica organolettica, perfettamente rispettata anche nel vino che mi è capitato sulla tavola.
Secondo voi quale sarà???


E infatti la degustazione non ha lasciato delusi: al bicchiere si è mostrato rosso rubino vivo, quasi con tendenza al viola chiaro, bello limpido e non particolarmente carico.
Al naso ha prevalso la ciliegia matura (ma guarda!!!), sicuramente in forte evidenza, con intensità discretamente buona e accompagnata da un leggero sottofondo speziato in cui ho riconosciuto per primo il chiodo di garofano.
Mi ha sorpreso l’eleganza e la freschezza al palato. Tannini presenti ma leggeri, poco astringenti e che lasciavano scorrere sulla lingua una vena di leggera dolcezza molto piacevole e ben equilibrata. Quasi superfluo dirlo, ha prevalso un ottimo sentore di ciliegia matura, accompagnata successivamente da un finale che ricordava la viola, ben attorniato da una lieve speziatura.
A voler proprio cercare un suo difetto, direi che ho sentito un finale un po’ corto, con il gusto che è svanito velocemente dopo il sorso, ma credo che sarebbe forse più giusto parlare di un limite intrinseco del vitigno, e non di un vero e proprio difetto.
Sicuramente non potrebbe competervi in complessità, ma la freschezza e la rotondità dei tannini mi fanno quasi azzardare un paragone con qualche buon pinot nero dell’Alto Adige.
Un vino semplice e buono, che vale sicuramente la pena provare quando si cerca un accompagnamento a qualche carne bianca.

lunedì 6 dicembre 2010

I "buoni" amici

Credo di potermi permettere di chiamare ormai “amici” il bravo Michele Russo e la sua famiglia, dato che mi capita di andarli a trovare a casa loro almeno una volta l’anno, in ogni occasione in cui mi trovi in terra di Toscana.
La loro azienda si trova a Suvereto, in pieno territorio della DOC “Val Di Cornia”, territorio che ultimamente sta dimostrando di essere particolarmente vocato ad ottime produzioni vinicole, dalle potenzialità eccezionali. E anche questa volta ne ho avuto piena conferma!!!
Ho assaggiato il loro IGT Toscana SASSO BUCATO 2007, la più recente delle annate di questo bordolese prodotto dall’Az. Russo, nel quale concorrono esclusivamente uva merlot e cabernet sauvignon (se non ricordo male, in questa annata ci dovrebbe essere una leggera predominanza della prima sulla seconda).
Si presenta nel bicchiere di un bel rosso rubino carico, limpido e quasi impenetrabile, d’altronde non può essere che così, data la giovinezza e la sua composizione.
Al naso è un’esplosione di frutta nera matura, tra cui emergono prugna, mora e marasca matura in un’ottima miscelanza nella quale prevalgono ora l’una e ora l’altra. Si fa sentire di sottofondo l’alcol (quasi ovvio, data la gradazione al 14,5%), ma per nulla fastidioso, anzi, si limita ad apparire e scomparire velocemente, per lasciare spazio, subito dopo, ad un bel tappeto speziato e vegetale, che ho definito sul momento come di foglia verde, più che erbaceo.
In bocca mostra grande concentrazione, ma sorprendono davvero i tannini delicati e quasi vellutati che scivolano sul palato, per nulla aggressivi malgrado la giovinezza dell’annata. Ritorna prepotentemente la mora in primo piano, seguita dalla marasca matura e da un finale in cui fanno capolino una nota tostata assieme al vegetale del cabernet.
Un ottimo prodotto, che ha accompagnato splendidamente il nostro spezzatino in umido di venerdì sera.
Per completezza, aggiungo che questo Sasso Bucato costa meno di 20 euro in azienda!!! A mio parere, i vini di Michele Russo si riconfermano tra i migliori toscani nel rapporto qualità/prezzo.
Bravi!!!

lunedì 22 novembre 2010

La collina di Sassonero

Non vi nascondo che, quando un mio amico enotecario mi ha consigliato la bottiglia di cui mi accingo a scrivere, ero rimasto un po’ scettico per il fatto che si trattasse di un merlot dei colli Euganei. Puro pregiudizio, lo so, ma proprio perché conscio che i pregiudizi in campo enologico non valgono nulla, mi sono fidato e l’ho acquistata.
Il vino in questione è il Colli Euganei Merlot DOC SASSONERO 2007 dell’azienda Ca’ Lustra di Franco Zanovello.
Viene prodotto con le uve provenienti da un appezzamento su una piccola collinetta, conosciuta localmente come Sassonero, appunto, operando con rese molto basse; il vino poi matura per 18 mesi in botticelle da 500 litri, per metà di nuove, per metà di “secondo passaggio” (ossia, che erano già state utilizzate una volta per un’annata precedente). La scelta si rivela vincente, in quanto il sentore di tostatura dato dal legno impreziosisce molto questo prodotto senza risultare invadente.
Ma veniamo al bicchiere: un bel rubino scuro, di colore discretamente carico anche se non impenetrabile.
Al naso, inizialmente un po’ timido, dopo una decina di minuti di ossigenazione lascia uscire piacevoli note di frutta nera, mora e marasca, con un leggero contorno speziato che si integra bene con le altre nuances.
Al palato mostra buona concentrazione ma non eccessiva, con tannini che risultano ben presenti ma comunque nel complesso sufficientemente morbidi. Si richiamano anche qui la marasca e la mora sentite in precedenza. Meno evidente il contorno speziato percepito all’olfatto; peccato, mi sarebbe piaciuto un po’ più evidente per dare maggiore complessità, ma tutto sommato si dimostra un buon prodotto che vale sicuramente i 14 euro che l’ho pagato.

lunedì 15 novembre 2010

Un semplice vino da tavola... del 1985!!!

Questo titolo la dice lunga di quanto fossero (ma vale anche adesso) in ritardo le legislazioni in materia di denominazioni di origine per i prodotti vinicoli, rispetto allo stato reale dei fatti.
Infatti il vino di cui mi accingo a scrivere, e con il quale ho avuto un fortunatissimo incontro questo sabato sera, è un autentico mito in bottiglia della storia enologica italiana. Si tratta del vino da tavola di Mercatale Val di Pesa (questa era la sua denominazione al tempo) TIGNANELLO 1985 della famosissima azienda toscana Antinori.

Ora si tratterebbe di un “Toscana IGT”… Al tempo ancora non esisteva questa denominazione, quindi non potendo rientrare nel disciplinare del Chianti Classico, rimaneva relegato “sulla carta” a semplice vino da tavola (pazzesco!!!).
In un post passato vi avevo raccontato dell’annata 1990 di questo stesso vino, già giudicata eccezionale, ma questo ’85… ragazzi… Vale forse ancora di più della sua stessa fama.
Innanzitutto, l’annata è stata giudicata una delle migliori dell’intero secolo scorso in Toscana, fatto peraltro confermato dalla fama raggiunta anche da altri vini importanti in quello stesso millesimo (mi vengono ora in mente il Sassicaia, il brunello riserva di Biondi Santi, il Bucerchiale di Selvapiana, ecc… ecc… Tutti vini che hanno avuto un ruolo fondamentale nel rendere famosa l’enologia italiana nel mondo).
Comunque sia, torniamo al nostro Tignanello. Si tratta di un vino prodotto per la maggiorparte con uve sangiovese, ma con una discreta percentuale di cabernet sauvignon. Infatti, la presenza di quest’ultimo vitigno si è fatta ben sentire fin dall’apertura, nel colore, al naso e anche al gusto. Il sangiovese, invece, è arrivato un po’ più sommessamente, con calma… dopo quasi una buona mezz’ora dall’apertura.
Nel bicchiere ha mostrato ancora un rosso rubino, con leggera tendenza al granato, ma ancora molto carico di colore per la sua età.
Al naso ha mostrato un’eleganza sorprendente, quasi a ricordare i grandi bordeaux invecchiati, pur di grande intensità, con predominanza iniziale di tabacco, spezie, chiodi di garofano e caffè, seguiti poi dopo qualche tempo da prugna, mora e ciliegie, che si sono amalgamate perfettamente ai sentori terziari. Non una spigolatura, nessuna che potesse risultare fuori posto.
In bocca ha mostrato una freschezza e un’acidità ancora vivissime, incredibili in un vino di 25 anni. I tannini, ben presenti, sono risultati morbidi e delicati, lasciando primeggiare tutti i sentori di prugna, di ciliegia matura, grande tabacco e eccezionale speziatura. Anche qui, il cabernet ha mantenuto perfettamente integra la sua struttura, risultando forse più presente di quanto mi aspettassi, confermandomi anche alla fine un richiamo ai grandi rossi della rive gauche della Garonne.
Un vino che entra prepotentemente nella mia personalissima “top ten”, e che molto difficilmente ne uscirà!!!
Uno splendido portabandiera di un modo di fare vino che ha reso famosi nel mondo i grandi vignaioli toscani… Peccato però che anche loro abbiano, da qualche tempo, perso questa maniera di fare vino, complici un po’ i cambiamenti climatici, ma soprattutto la necessità di rendere i nostri vini più “appetibili” per i desideri d’oltreoceano.
Di solito non lo faccio per motivi di praticità e tempo, ma questa volta, data l’importanza della bottiglia che abbiamo degustato in ottima compagnia, non potevo non pubblicare anche una foto fatta col mio cellulare durante la serata.
Voi gustatevi gli occhi… Io intanto mi sono gustato il vino!!!

lunedì 8 novembre 2010

Par condicio

Ho scritto di recente di un ottimo pinot noir francese, quindi non poteva mancare ora, per “par condicio” un post su un buon pinot nero italiano.
Per la precisione si tratta del Alto Adige doc PINOT NERO 2007 del bravo produttore Franz Haas.
A mio avviso, le uniche zone in Italia in cui il pinot nero (vinificato in rosso fermo) possa dare vini di livello alto si trovano proprio in provincia di Bolzano. Probabilmente questo deriva dalla difficile coltivazione di queste uve, particolarmente sensibili a variazioni climatiche e alle malattie, quindi rendendolo sicuramente non adatto alle condizioni estreme di regioni calde e secche, che metterebbero già in partenza la pianta in condizioni di stress vegetativo.
Ci sono comunque altre zone in Italia in cui questo vitigno domina i paesaggi rurali, come per esempio l’Oltrepò Pavese, ma in questo caso viene utilizzato per la produzione di vini spumanti con il famoso “metodo classico”, e solo raramente viene vinficato come rosso fermo.
Questo pinot nero di Haas si presenta al bicchiere di un bel colore rosso rubino con leggera tendenza al violaceo, bello limpido e di buona trasparenza, come ci si dovrebbe aspettare.
Al naso rivela sentori molto fini e poco intensi, ma (badate bene!) non lo definirei un difetto, anzi, quasi un aspetto elegante e signorile. Emergono innanzitutto il ribes e la ciliegia, attorniati da una leggerissima vena affumicata.
Al palato risulta di discreta eleganza, forse con tannini ancora un pochino troppo marcati per quello che mi aspetterei da un grande pinot nero, ma probabilmente questo è dovuto alla giovinezza di questa bottiglia. Un annetto in più, probabilmente, avrebbe dato quella rotondità che cercavo. Per sicurezza ne comprerò un’altra e la lascerò in cantina il tempo necessario.
In ogni caso, anche in bocca ha prevalso il ribes, molto marcato e ottima caratteristica tipica del vitigno, seguito poi da un sentore di ciliegia e da una bella chiusura di pietra focaia, lievissima ma presente. Si nota anche l’utilizzo della barrique, ma in maniera ben dosata e per nulla invadente.
Mi ha molto positivamente colpito la grande acidità e la freschezza alla beva, che hanno perfettamente nascosto i 13,5% alcolici.
Un buon prodotto, che darà il meglio di sé tra uno o due anni di riposo in cantina.

venerdì 5 novembre 2010

Buona la prima!

Questa volta vi scrivo di un vino prodotto da un’azienda agricola a cui sono particolarmente legato per motivazioni affettive, dato che, mia moglie ed io, abbiamo tenuto il ricevimento del nostro matrimonio proprio nel loro castello.
Si tratta del Piave DOC chardonnay BIANCO DELL’ARNASA, annata 2009, dell’azienda Castello di Roncade, nel trevigiano. Se ho ben capito, questa è la prima annata di produzione di questo cru, il cui vigneto si trova in una zona denominata “Pantiera”, poco distante dal castello.
Il vino si presenta di un bel giallo paglierino, limpido e non particolarmente carico.
I profumi non mi sembrano particolarmente intensi, dato che per percepire bene le varie sfumature è necessario penetrare bene col naso all’interno del bicchiere. Dall'altra parte, però, si mostrano fini e ben equilibrati tra loro, con una prevalenza di frutta a pasta gialla e una lieve nota vanigliata di legno, appena percettibile (infatti il vino effettua alcuni mesi di maturazione in piccole botti di rovere).
Al gusto, come poi mi aspettavo dalla non prominente intensità al naso, presenta una discreta struttura e una buona sapidità. Mi ha, invece, sorpreso il fatto di non trovarmi davanti un banale e mediocre vino concentrato e “muscoloso”, come capita spesso nei bianchi barricati, spesso creati per il mercato internazione; al contrario, ha mostrato grande equilibrio e una notevole eleganza. Al giorno d’oggi è raro trovare queste caratteristiche così evidenti in un vino che costa attorno ai 7 euro in cantina.
Prevalgono anche qui i sentori di frutta a pasta gialla, con un evidente finale di ananas a spiccare sugli altri, contornato da erbe fini e una piacevole vena di agrumi. Assolutamente non invadente l’utilizzo del legno, segnale di affinamento ottimale, ben pianificato e correttamente applicato, che riesce a conferire a questo prodotto una maggiore rotondità al palato.
Ottimo rapporto qualità/prezzo, sicuramente da consigliare.
Mi auguro solo che al Castello di Roncade non vogliano stravolgere questo vino nelle prossime annate. A mio avviso è “buona la prima”!

mercoledì 3 novembre 2010

Maledetto raffreddore!

L’occasione era quella giusta: brindare all’auto nuova (anzi… no… pardonnez-moi… è usata…). Abbiamo stappato e brindato con uno champagne discretamente buono, che però non è il vino di cui volevo raccontare oggi, d’altronde… ubi maior
Infatti siamo rimasti in terra d’oltralpe per provare uno dei miti in bottiglia dell’enologia mondiale, il mitico CHATEAU LAFITE ROTHSCHILD 1er cru classé Pauillac annata 2002.
Si tratta di un taglio di cabernet franc, cabernet sauvignon e (in minor quantità) merlot e petit verdot. Come dicevo, è considerato uno dei più grandi vini al mondo, ed infatti la sua fama è stata ben dimostrata “sul campo”.
Purtroppo ero un po’ raffreddato quella sera, ma la qualità e il livello di questo vino si sono fatti notare anche se i miei sensi non erano al 100%.
Dal colore si è mostrato di un bel rosso rubino non particolarmente carico ma ben limpido. Appena aperto spiccava un dolcissimo profumo di liquirizia accompagnato da un sentore speziato, poi, man mano che passavano i minuti sono stati sempre più pareggiati da ciliegia sotto spirito e lampone. Quello che ha colpito particolarmente è stata la finezza e l’eleganza nei profumi; non ce n’è stato nemmeno uno che si mostrasse predominante o aggressivo, anzi... i sentori che salivano dal bicchiere facevano l'effetto di una lieve brezza marina in una giornata afosa... un vero piacere!!! Purtroppo credo di essermi perso molte piccole sfumature o note di contorno ai sentori principali, d’altronde il raffreddore è il peggior nemico del degustatore!!!
In bocca ha confermato l’estrema finezza e si è mostrato per niente invasivo, con tannini morbidi e ben amalgamati agli altri aromi. Anche qui si sono fatti sentire dapprima la ciliegia e poi di contorno la speziatura e il finale di liquirizia che si era fatto sentire all’inizio. In questi grandi vini, va sottolineato come la morbidezza e la sensazione “vellutata” sulla lingua non siano date dal calore dell’alcool ma dal grandissimo equilibrio che è stato ottenuto tra tutte le componenti del vino (infatti la sua gradazione è del 12,5%). Elegantissimo e per niente aggressivo dall'assaggio fino all'ultimo sorso, con un'evoluzione che lo ha portato a migliorare di minuto in minuto man mano che passava il tempo.
Anche in questo caso devo confermare di aver avuto a che fare con un vero fuoriclasse.

martedì 2 novembre 2010

Non so scegliere

Sabato sera, a cena, abbiamo fatto un altro tour vitivinicolo in terra d’oltralpe, scegliendo due grandi e autorevoli rappresentanti di altrettante zone di tradizione enologica tra le più famose al mondo: il Bordeaux e la Borgogna.
Purtroppo (o per fortuna, scegliete voi), non riesco a decidere quale dei due vini sia stato migliore dell’altro, ciascuno con le proprie caratteristiche ben differenti, quindi ho deciso che in questo post parlerò di entrambi i vini.
Abbiamo iniziato con il Nuits Saint Georges 1er Cru LE PROCES 2006 di Robert Arnoux, che, come tutti i Borgogna rossi, è fatto con pinot nero in purezza.
Innanzitutto mi ha colpito il colore, che andava al di là del classico rosso rubino, ma arrivava quasi ad un bellissimo viola acceso, perfettamente limpido e trasparente.
Al naso ha mostrato una gamma di profumi molto fini e leggeri, elegantissimi, tra cui spiccava il lampone e la mora selvatica, accompagnati da una lieve affumicatura, quasi impercettibile, ma che serviva a completare la rotondità del bouquet olfattivo.
In bocca mi è sembrato meno fine rispetto ad altri suoi conterranei che mi era capitato di assaggiare in passato (ma forse in quell’occasione si trattava di effettivi fuoriclasse, come per esempio L’Echezeaux, della Romanée-Conti), ma comunque elegantissimo, con tannini leggeri, ma ancora presenti come in un vino molto giovane, segno di grande longevità di questo prodotto. Si sono confermati anche al gusto i sentori di lampone, accompagnati anche qui da una bella nota lieve di affumicatura e di un ben percettibile sentore di ribes. Un gran bel vino.
Il secondo protagonista della serata è stato il Saint Julien 2ème grand Cru Classé CHATEAU DUCRU BEAUCAILLOU 1998, uno tra i portabandiera della tradizione bordolese. Viene fatto con prevalenza di uve cabernet sauvignon (circa 70%), unite al classico merlot come da perfetta tradizione di quella zona della Francia.
All’apertura ha subito mostrato i suoi 12 anni dalla vendemmia, con il classico sentore di “sella di cavallo”, che rende quindi opportuno lasciar ossigenare il vino all’aria per un’oretta buona, prima di poterlo degustare. Ed infatti, previdentemente, lo avevamo aperto allo stesso momento del Borgogna, ma degustato solamente dopo quest’ultimo.
Al colore ha mostrato un bel rosso rubino carico ma non impenetrabile, e mi ha quasi stupito non vedere granché di riflessi granati; segno che questo vino avrebbe potuto senza dubbio reggere ancora molti anni di invecchiamento.
Al naso mi ha colpito subito una folata di prugna, inconfondibile, e molto intensa, seguita poi da marasca e da belle note speziate di tabacco. In bocca ha mostrato una notevole eleganza, con tannini presenti ma morbidi, nei quali nuotavano, quasi accarezzando la lingua, note di marasca e mora, sfumanti poi in un lungo finale speziato. Molti degustatori sentono in questo vino una chiusura di cacao, che però non mi è sembrata così evidente da essere segnalata.
Due grandissimi prodotti, che dal punto di vista “tecnico” non mi hanno lasciato scegliere quale potesse essere migliore dell’altro, anche se il mio gusto personale una preferenza ce l’ha…

mercoledì 27 ottobre 2010

Abbiamo toppato!!!

Tra i tanti vini che mi è capitato di assaggiare nel lungo periodo di assenza dal blog, ce ne sono alcuni che avrebbero decisamente meritato di essere citati qui. Uno di questi è senza dubbio il VIGNA DEL VASSALLO 1988 dell’azienda vinicola Colle Picchioni, di Marino (Roma).
Per farvi capire la qualità di questo prodotto, vi descrivo in che moto è avvenuto l’assaggio: un venerdì sera, a cena nell’osteria di un nostro amico, non avevamo ancora deciso il “rosso” della serata, al che il titolare del locale mi dice “Vuoi un vino vecchio?”. La mia pronta risposta “Ok, vai!”.
Ci ha presentato in tavola la bottiglia coperta con la stagnola, in modo da non farci vedere di che prodotto si trattasse. Ha versato il vino e abbiamo iniziato le nostre ipotesi…
Il colore era un rosso granato, non particolarmente carico, ma bello limpido. Tutto perfettamente in linea con l’età avanzata: 21 anni di invecchiamento non sono mica pochi!
Al naso, dopo un’iniziale fase di “chiusura” (molti esperti del settore chiamano quella che io definisco “fase di chiusura” come sentore di “sella di cavallo”… E’ una caratteristica molto frequente all’apertura dei grandi vini invecchiati, ma deve svanire con l’ossigenazione all’aria, altrimenti si tratterebbe di un grosso difetto!!!), pian piano rivelava delicati ed elegantissimi profumi di frutta rossa matura, soprattutto prugna e viola, accompagnate da note di tabacco e caffè.
Facile individuare che si trattasse di un taglio bordolese (come accennato altre volte, si chiamano così i vini realizzati in prevalenza da diverse percentuali di merlot e cabernet). Ora si trattava di capire più o meno da che zona provenisse.
Al gusto mostrava un’eleganza eccezionale, finezza di tannini e una sensazione quasi vellutata al palato. Si sono confermati anche qui gli ottimi sentori di prugna, le note speziate, il tabacco e il lungo finale di caffè. L’eleganza e la perfetta rotondità di questo vino mi hanno fatto sbilanciare nettamente per un grande Bordeaux francese e questa mia idea è stata rafforzata e confermata da tutti gli altri presenti.
Da sottolineare, inoltre, la freschezza e l’acidità ancora quasi vibranti di questo vino, tanto che mi sarei sbilanciato per un vino di 10/15 anni di invecchiamento, non di più.
A questo punto abbiamo chiamato il nostro amico oste e, come si dice in un noto programma televisivo, gli abbiamo detto “La accendiamo! Si tratta di un francese”.
E invece… Abbiamo toppato!!!

Lui ha sorriso e ha tolto la stagnola… “Mettendo a posto la cantina, mi è saltato fuori un cartone di questo vino che non sapevo nemmeno più di avere, ne ho aperto una bottiglia e sono rimasto a bocca aperta”.
La mia risposta è stata “Beh… Anche noi”!!!
Avrei voluto vedere da esterno le nostre facce quando abbiamo letto l’etichetta. Ci sembrava incredibile che un vino “de li Castelli”, zona nota storicamente per produzioni massive destinate alla città di Roma, più che per la ricerca di particolari qualità nei vini che vi nascono, mostrasse una personalità del genere dopo ben 21 anni dalla vendemmia.
Una vera sorpresa!
Concludo raccontando che dopo qualche mese, trovandomi a Roma per altri motivi, sono andato a trovare il produttore di questo vino. Ho trovato una persona squisita, umile e competente, il Sig. Armando, con cui abbiamo fatto una chiacchierata di quasi tre ore sulla sua azienda e sul mondo del vino in generale. Ho assaggiato assieme a lui l’annata 2007 dello stesso vino (che ora si chiama IL VASSALLO, non più “Vigna del Vassallo”), del quale mi sono portato a casa senza battere ciglio tre belle bottiglie. Ora sono nella mia cantina ad invecchiare, e vedremo se replicheranno i risultati del loro “avo” del 1988.

martedì 26 ottobre 2010

Aaaaah, le pinot noir...

Anche in questa occasione torno a scrivervi di un eccellente vino d’oltralpe, più precisamente della zona nota come “Côte de nuits” in Borgogna. Il vino è il Mazis-Chambertin Grand Cru “Cuvée B Vieilles Vignes” 2006 di Dominique Laurent.
Come tutti i grandi vini di Borgogna, è fatto al 100% con uva pinot noir (o pinot nero, anche se sembra superfluo tradurre…). I microclimi delle varie sottozone di quella regione, uniti a terreni particolarmente vocati e ad un’esperienza vitivinicola ormai secolare, permettono di ottenere prodotti eccezionali per eleganza, morbidezza e longevità.
Il pinot nero è un vitigno particolarmente delicato e difficile da coltivare al meglio; è molto soggetto a degenerazioni in pianta e ad attacchi di parassiti e microrganismi. Tuttavia, in Borgogna ha trovato le condizioni ideali per palesare tutte le sue grandissime potenzialità.
Questo vino, perfettamente in linea con le caratteristiche peculari della varietà, si presenta nel bicchiere di un bel colore rosso rubino con riflessi violacei, per nulla carico, ma limpido e trasparente.
Al naso rivela una finezza invidiabile, con predominanza di lampone selvatico, fragola e altri piccoli frutti rossi. Spicca, subito dopo, un evidente sentore di pepe, che sconfina lievemente nell’affumicato, perfettamente integrato con gli altri aromi. Nessuna spigolatura e nessun difetto rivelabile anche lasciando passare del tempo.
Al palato si presenta elegantissimo, con tannini morbidi, setosi… quasi impercettibili (come effettivamente ci si deve aspettare da un grande pinot nero di Borgogna). Si mescolano in una danza coordinata e vellutata il lampone, il ribes ed una leggera affumicatura, che anche in questo caso termina in un finale lunghissimo di pepe.
Un vino di grande levatura di una finezza difficilmente riscontrabile in prodotti di altre zone vinicole, tanto da avermi fatto esclamare, più volte nel corso della serata, la frase che dice sempre un mio carissimo amico, amante dei vini di Borgogna: "Aaaaaah... Le pinot noir..."!!!

lunedì 25 ottobre 2010

Una scelta ripagata

Eccomi qui, dopo una grande e totale assenza per più di un anno.
Non mi soffermerò sui motivi del mio silenzio, ma sappiate che non c'è stato alcun grave motivo... E soprattutto non mi è venuta la cirrosi da bevute!!!!
Ahahahahahahahahah...

E come disse un bravo e compianto presentatore... "Dove eravamo rimasti...?"
Ah sì... ai miei numerosi assaggi. Ovviamente non sono mancati in questi mesi di latitanza dal web numerosissimi assaggi che meritavano decisamente una presenza in queste pagine, ma ormai sono andati...
Vabbè, dai... Si ricomincia!!!

Questo sabato sera mi aspettava un filetto di puledro alto due dita. Era quindi fondamentale non rischiare un abbinamento sbagliato!!!
La scelta del vino è stata parecchio dura, ma alla fine ho deciso per il Valpolicella Classico Superiore doc CAMPO MORAR 2005, del bravo produttore Viviani di Negrar (VR).
Premetto che ho assaggiato già parecchie annate di questo stesso vino, e che la 2005 non mi è sembrata una delle migliori rispetto, per esempio, al 1998, al 2001 o al 2004.
In ogni caso si conferma uno dei migliori portabandiera della sua denominazione, per quanto vagamente "innovatore" rispetto ai classici Valpolicella di una volta, più semplici e rustici.
Questo Campo Morar ha mostrato una buona complessità e una rotondità sopra della media dei suoi "conterranei". In ogni caso, si tratta di un vino per niente scontato, con una personalità invidiabile. Ha avuto bisogno di ossigenare quasi un'ora prima di dare il meglio di sé, ma poi i profumi di futta rossa e di frutti di bosco non sono mancati all'appuntamento. Spiccava inoltre una lieve nota di mela, caratteristica abbastanza tipica dei vini della Valpolicella, soprattutto del famoro Recioto. D'altronde, in fin dei conti, i vitigni utilizzati sono, con proporzioni diverse, più o meno gli stessi.
In bocca ha rivelato grande struttura, perfettamente legata alla corposità del filetto che avevo nel piatto, con un ritorno della marasca e del ribes, ma poche "spigolature", con tannini presenti ma non invadenti, seguiti da un buon tappeto speziato. Nota dolente, un finale leggermente amaricante, che mancava in altre annate, diciamo, più fortunate.
Nel complesso, ve lo consiglio.