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lunedì 22 dicembre 2008

Un siciliano maturo e piacevole

Ho sempre sottolineato l’importanza degli anni di maturazione in bottiglia di alcuni vini importanti. Non mi era però mai capitato di assaggiare un Nero d’Avola di oltre 10 anni, quindi averlo trovato negli scaffali di un enoteca mi ha immediatamente spinto all’acquisto (e conseguentemente all’assaggio). Ancora di più considerando che si tratta di una delle etichette più rinomate dell’enologia siciliana, ovvero il Nero d’Avola DUCA ENRICO 1997 dell’azienda Duca di Salaparuta.
La mia speranza era quella di trovare un vino decisamente evoluto, con tutti i famosi “terziari” a far da compagnia agli aromi tipici del vitigno, ma c’era pure il rischio di trovare un vino ormai “caduto”… Invece è andata bene… Anzi, molto bene.
Per chi non frequenta la materia, i “terziari” sono profumi e gusti che vengono dati al vino da sostanze che si formano spontaneamente durante gli anni di riposo in bottiglia. Questo processo è dovuto principalmente alla micro-ossigenazione che avviene negli anni attraverso il tappo di sughero, la quale fa combinare l’ossigeno con le sostanze “minori” derivate dalla vinificazione dell’uva creando piccolissime quantità di alcoli superiori, eteri, esteri, e altre sostanze ancora, molto aromatiche che danno profumi differenti a seconda della loro presenza.
Dal bicchiere mostra un rosso rubino carico con bei riflessi granata, come effettivamente deve essere in un Nero d’Avola di quest’età, discretamente limpido.
I profumi sono intensi e complessi: partono dalla frutta rossa matura, in prevalenza mora e prugna matura, ma arrivano ad un possente aroma speziato, di tabacco e caffè. Davvero variegata la gamma di sentori che arrivano alle narici, che intraprendono un piacevole “balletto” per far prevalere ora un sentore e ora un altro.
Al gusto mostra i suoi muscoli, con una struttura potente ma mai aggressiva, anzi con una discreta morbidezza che rende questo vino davvero di beva piacevole. Prevalgono in bocca le note di tabacco e di caffè tostato, poi un sottofondo di mora e ribes, di grande complessità e con un finale nel quale ho avvertito anche una lievissima nota balsamica.
Un gran bel vino, importante e complesso, giunto probabilmente all’apice della sua potenzialità. Se ne trovate una bottiglia in qualche enoteca o in qualche ristorante ben fornito, non lasciatevela scappare perché secondo me tra qualche anno non donerà più emozioni così piacevoli (anche se, ahimè, non costa proprio pochino…).

domenica 21 dicembre 2008

Il signore di Montefalco

Il sovrano dei vitigni umbri è senza dubbio il Sagrantino di Montefalco, un'uva che di solito dona vini possenti e tannici, ma se il vignaiolo riesce a trovare il giusto equilibrio in questi aspetti un po' austeri, ne può uscire un prodotto eccezionale.
E' proprio il caso del Sagrantino di Montefalco ARQUATA 1999 del produttore Adanti, soprattutto per il prezzo che costa in enoteca (meno di 20 euro).
Gli anni passati in bottiglia mi hanno fatto pensare che fosso proprio giunto alla maturazione perfetta per essere provato e così è stato! Nel bicchiere si è presentato di un bel rosso vivo con una tendenza al granato discretamente presente.
Al naso ha mostrato grandi ed eleganti profumi di frutta rossa, soprattutto marasca e prugna; una bella nota speziata (data dalla maturazione) ha immediatamente seguito i primi sentori. Buona l'intensità dei profumi, senza risultare aggressiva, ma il meglio di sé l'ha mostrato all'assaggio.
Mi aspettavo un vino potente, tannico e astringente... e invece ne è uscito un vino elegantissimo, morbido e fresco, con una potenzialità di evoluzioni future davvero enorme. Anche qui ha prevalso la frutta rossa anche qui accompagnata da una nota speziata, proprio come nei profumi provati immediatamente prima. Incredibile la delicatezza dei tannini, poco percettibilie direi addirittura "sfuggente". Ecco... forse di questo aspetto sono rimasto leggermente sorpreso negativamente, nel senso che esula un po' dalle caratteristiche tipiche dell'uva Sagrantino, ma nel complesso del prodotto finale direi che "va bene anche così".
Purtroppo nell'enoteca in cui lo avevo acquistato hanno terminato l'annata 1999... pazienza, ho prontamente preso la 2001, che assaggerò quanto prima per un confronto ravvicinato.

venerdì 12 dicembre 2008

Ogni annata, una conferma!

A mio giudizio esclusivamente personale, ci sono delle portate che hanno un abbinamento quasi “d’obbligo”, perché le caratteristiche combaciano a tal punto che non vale nemmeno la pena di sperimentare combinazioni diverse. Quindi se mi chiedete quale vino sceglierei per una orata al forno, la mia risposta è quasi automatica: “un verdicchio dei castelli di Iesi”, un ottimo bianco marchigiano.
Quindi, qualche sera fa’, in occasione proprio di questo piatto, abbiamo stappato quello che ritengo il migliore della sua tipologia, ovvero il Verdicchio dei Castelli di Iesi Riserva VILLA BUCCI 2005, dell’ottimo produttore Bucci. Pensate che il titolare di questa cantina è consulente di marketing e docente all’università di Milano, ma produce vino e olio nelle Marche per pura e vera passione… e si vede!
Di questo prodotto ho già avuto modo di assaggiare diverse annate, direi tutte quelle che sono uscite in commercio, perché (badate bene!!!) nelle cattive annate questo vino non viene proprio messo in commercio; grandissimo segnale di serietà e di alta qualità.
Questo 2005 si presenta di un bel giallo paglierino carico e limpido, come infatti ci si deve aspettare da questa tipologia di prodotto.
Appena si avvicina il naso al bicchiere inizia la danza dei profumi fruttati e floreali, tra cui emergono imperiosamente i frutti a pasta gialla, e principalmente la pesca, ma anche una bella nota amandorlata, appena percettibile e davvero elegante.
In bocca colpisce per la struttura e la sapidità, molto presenti ma senza eccedere. Si confermano i sentori di frutta a pasta gialla e una vena di dolcezza accompagnata da una discreta acidità. Eccezionale la “dosatura” del legno, che non fa emergere alcuna sensazione vanigliata, ma rende questo vino rotondo al palato, senza spigolature. Il finale è lungo e piacevole, mantenendo il sentore di pesca già sentito all’olfatto.
Non c’è che dire… i vini fatti bene non deludono mai.

martedì 2 dicembre 2008

La tradizione non muore mai

Il barolo è uno dei vini più blasonati al mondo e questa fama l’ha guadagnata negli anni a suon di prodotti di livello a dir poco “spettacolare”. Non a caso, nei commenti di qualche post fa’, avevo indicato come il mio “preferito di sempre” proprio uno di questi vini, grandissime dimostrazioni delle potenzialità dell’uva nebbiolo.
Negli anni, anche le tecniche di produzione di questo vino hanno subito sperimentazioni e innovazioni, che hanno portato a risultati più o meno positivi (in certi casi ci si addentra poi nei meandri dei gusti personali); è comunque fuori discussione che, quando ci si trova davanti ad un barolo fatto secondo tradizione (quindi senza l’impiego delle famose barrique, ma solo con utilizzo di “botti grandi”), ci si deve aspettare un prodotto di grande levatura.
E questo lo ha decisamente confermato il barolo VIGNA RIONDA 2001 del produttore Anselma di Serralunga d’Alba. Un vino complesso ed elegantissimo, che ha decisamente surclassato un altro barolo del 2001, di un produttore che qui non nominerò e che abbiamo degustato “in parallelo” (badate bene, anche quest’ultimo si è dimostrato un buon vino, ma comunque non al livello del protagonista di questo post).
Il nostro Vigna Rionda, appena versato nel bicchiere, ha mostrato la sua bellissima veste di color rosso rubino limpido, viva e per niente cupa, come infatti ci si deve aspettare da un vino prodotto con il 100% di uva nebbiolo.
All’inizio, poco dopo l’apertura i profumi erano molto chiusi, quasi celati dietro ad una cortina di cuoio e tabacco… poi col passare dei minuti c’è stata un’evoluzione incredibile verso la ciliegia e il lampone, sempre contornati da spezie e tabacco con un’eleganza e una finezza incredibile. Sembravano quasi accarezzare le narici e stuzzicare la salivazione nell’attesa del primo sorso.
In bocca si è mostrato vellutato e rotondo, nessuna sbavatura e soprattutto nessuna nota vanigliata che prevaricasse gli altri gusti. I tannini sono stati leggeri e astringenti giusto un poco solo nel finale del sorso; i gusti predominanti sono stati anche qui la marasca e il lampone, ben accompagnati da una fresca dolcezza e da lieve retrogusto affumicato.
Quello che mi ha particolarmente sorpreso è stata l’evoluzione man mano che passavano i minuti, la predominanza nei profumi che si è spostata dal cuoio, alle spezie e infine alla frutta matura. Le sfumature e le note appena percettibili lo hanno davvero reso un vino di grande complessità, che si è mostrato austero e scorbutico all’inizio, ma dolce e elegantissimo poco dopo.
Sarei curioso di riassaggiarlo tra qualche anno, perché a mio avviso potrà avere ulteriori evoluzioni positive nel tempo…