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lunedì 31 gennaio 2011

Ancora giovane a 20 anni

Ovviamente il titolo non va interpretato in chiave antropologica… Bensì enologica. E da questo punto di vista, se a più di 20 anni dalla vendemmia un vino si dimostra ancora grandissimo, allora ci troviamo davanti ad un prodotto davvero di levatura eccezionale.
Diciamo che solo alcuni vitigni sono in grado di dare prodotti che si prestano bene a lunghi invecchiamenti, tra questi il nebbiolo, unico componente dei famosissimi Barolo e Barbaresco, la corvina veronese, il cabernet, genitore dei grandi bordeaux francesi, e alcuni altri, tra cui il sangiovese, in particolare se coltivato in Toscana.
Proprio un vino fatto di sangiovese toscano è il protagonista di questo assaggio, anzi… un grande protagonista, di cui avevo già citato in passato le annate 1999 e 2001. Questa volta, invece, siamo andati alla grande con l’annata 1990.
Si tratta del (allora) vino da tavola di Toscana TORRIONE 1990 della fattoria di Petrolo.
Leggo dall’etichetta che viene prodotto con vigne piantate nel 1952, quindi nel ’90 avevano quasi 40 anni; i vini provenienti da piante così datate hanno sempre un fascino particolare, sembra quasi che l’età doni loro una dose di “esperienza” innata nel far maturare al meglio i propri acini. Uscendo dall’immaginario, sicuramente hanno le radici più profonde, che vanno a prendere sostanze e sali minerali differenti da quelli presenti in superficie, forse anche maggiormente concentrati, nonché una riserva di umidità maggiore del terreno che permette alla pianta di superare meglio i periodi particolarmente caldi o siccitosi.
Ma veniamo all’assaggio: il colore è un bel rosso bordeaux vivo, con qualche riflesso granato, ma non particolarmente evidente. L’intensità del colore mi ha dato subito il primo segnale di una straordinaria conservazione e di un’ulteriore potenzialità evolutiva.
Dopo quasi due ore dall’apertura (accorgimento assolutamente necessario con vini così datati), al naso ha liberato profumi intensi ed evoluti, in cui si sentono all’inizio cuoio, caffè e tabacco, seguiti dopo qualche minuto da un’esplosione di confettura di ciliegie, more stramature e prugne secche. Avrei passato mezz’ora a scovare e interpretare le mille sfaccettature delle nuances che salivano dal fondo del “ballon”, che mi hanno confermato l’ottimale evoluzione in bottiglia, ma la voglia di assaggiare era troppa.
Subito al palato ha mostrato una grandissima vitalità, un frutto caldo e avvolgente in confettura, nel quale predominavano assolutamente la marasca e la mora, uniti ad un tappeto complesso e variegato di tabacco, chiodi di garofano, pietra focaia, caffè e cacao. Il finale del sorso è stato persistente, caldo e piacevole, terminante in una nota tostata di caffè che mi sembra quasi di sentire ancora.
Un prodotto eccezionale, che è probabilmente arrivato al punto giusto di maturazione per donare a chi lo assaggia tutta la sua grandissima potenzialità.
Spero tanto che chi mi ha venduto questa bottiglia ne abbia almeno un’altra!!!

mercoledì 19 gennaio 2011

Il legame c'è, e si sente!

Per fortuna, ogni tanto mi capita ancora di trovare qualche vino relativamente economico che mostra una personalità propria, ben differenziata dalla media standardizzata di moltissimi prodotti di prezzo medio-basso.
E’ il caso dell’IGT Maremma Toscana BUCCE 2008 dell’azienda Poggio Argentiera, ottimamente gestita dall’amico Gianpaolo Paglia.
L’uva utilizzata è l’ansonica in purezza, un vitigno che si trova anche in altre zone affacciate sul mar Tirreno, soprattutto in Sicilia dove viene chiamato Inzolia.
Per questo prodotto, l’amico Gianpaolo ha deciso di effettuare una vinificazione sulle bucce per qualche giorno, pratica poco utilizzata sui vini bianchi, con un successivo affinamento sulle fecce. Questo accorgimento dona al vino una leggera dose di tannini e altre sostanze naturalmente presenti sulla buccia, che danno quasi un “tocco di rosso” alle sue caratteristiche gusto-olfattive.
Ma veniamo all’assaggio, accompagnato con un’ottima trota salmonata al forno: al bicchiere si è mostrato di un giallo oro discretamente carico, quasi come se si trattasse di una vendemmia tardiva, con una lieve torbidità naturale derivante dall’imbottigliamento senza filtrazione.
Al naso mostra profumi fini, non particolarmente intensi, nei quali si distinguono inizialmente fiori bianchi, camomilla e gelsomino più degli altri, accompagnati da sentori di frutta a pasta bianca, e poi da un sottofondo speziato, direi quasi di “macchia mediterranea”, a sancire il legame con il territorio di provenienza del vitigno.
Ma è in bocca che ha fatto capire benissimo la sua relazione con il “mare nostrum” e con la tipica flora che lo accompagna. Al palato la frutta passa in secondo piano, il floreale non si sente granché, forse rimane un po’ di traccia della camomilla sentita prima, ma emergono esplosive e vigorose le note tipicamente vegetali di rosmarino selvatico, di salvia, origano e erbe officinali, tutti amalgamati in un balletto equilibrato in cui emergono ora uno ora l’altro, contornati poi da una discreta astringenza tannica e da un finale lungo e amandorlato, piacevole e invitante a prendere subito un altro sorso.
La sapidità è presente, ma non domina, forse pecca un po’ in freschezza, ma credo che non fosse questa una caratteristica che si intendesse evidenziare in questo vino, quindi non la definirei un difetto.
Mi ha sorpreso la predominanza così marcata delle spezie mediterranee, davvero particolare. Non sarà di certo un caso, vista la regione da cui proviene.
Insomma, un buon vino in cui il territorio si sente davvero!!!

lunedì 3 gennaio 2011

Passar capodanno con due francesi...


Pottrebbe sembrare un titolo per raccontare di un capodanno a "luci rosse"... E invece parliam ancora di vino!!!

A capodanno l’unica bottiglia che non può mancare sulle tavole di un buon appassionato è la classica “bollicina” per brindare allo scoccare della mezzanotte. Noi, giusto per non rischiare di essere senza, abbiamo direttamente passato tutta la cena in compagnia di due champagne, autentici fuoriclasse in bottiglia: il KRUG millesimato 1996 (tra l’altro in magnum!) e il DOM PERIGNON ROSE’ 2000.
Queste due etichette fanno parte del gotha della produzione francese, sono note in tutto il mondo come due tra i migliori vini prodotti in questa fortunata regione, che è appunto il nord-est della Francia. Dopo l’assaggio, non abbiamo avuto alcun dubbio sui motivi di tale fama!!!
Abbiamo iniziato con il Krug, dato che era in magnum, per poter accompagnare sia l’antipasto che il primo.
Già stappare questo “titano” da un litro e mezzo mi ha messo una certa emozione, e l’annusata al tappo di rito metteva paura al solo pensiero che potesse risultare fallato.
Invece no… E per di più già dal tappo iniziavamo a presagire molto di quello che ci stava aspettando di lì a poco!!!
Iniziamo dal colore, un bellissimo giallo oro limpidissimo e brillante, solcato da un fine e persistente perlage.
Al naso, un’esplosione di sentori, di intensità eccezionale, nei quali ha predominato fin da subito un carosello di agrumi, ananas, fiori di campo e crosta di pane caldo. Successivamente sono emersi anche il ribes e una vena “burrosa”, morbida e carezzevole sulle narici. Mi ha lasciato di sasso la potenza con cui tutto questo saliva dal bicchiere, ma senza alcuna spigolosità, anzi, la complessità enorme riusciva a mantenere un grande equilibrio e una discreta eleganza. Cosa che si può ritrovare solo in prodotti come questo, di eccezionale levatura.
Al palato ha ben confermato la fama di fuoriclasse, con una sapidità e una freschezza davvero invidiabili, e che raramente mi sono capitate in altri vini, tanto che la sua facilità di beva invitava subito a prendere un secondo sorso, quasi fosse stato un vino “leggero”. Qui le note agrumate, pur presenti, hanno lasciato primeggiare i piccoli frutti rossi, soprattutto ribes e visciola sicuramente provenienti dal pinot nero, presente a quanto sembra in buona percentuale anche in questa annata, uniti ad una piacevolissima nota affumicata nel finale del sorso, che completava la complessità dei sentori di questo incredibile prodotto.
Da notare che gli agrumi, ed in particolare il pompelmo rosa, sono tornati in netta predominanza anche al gusto quando, la sera successiva, ho terminato gli ultimi due bicchieri che erano rimasti nella bottiglia dopo a fine serata. Con i secondi, invece, siamo passati al Dom Perignon rosé, che a detta di molti “esperti” del settore, dovrebbe essere il miglior rosé tra tutte le bollicine francesi.
Personalmente non so se posso proprio definirlo il migliore, ma sicuramente “se la gioca” con uno o due altri prodotti al massimo!!!
Il colore di questo secondo vino non è assolutamente definibile come rosa; è un bellissimo rosso chiaro e trasparente, perfettamente limpido e solcato da fini ed eleganti bollicine. Il rosa, lasciamolo ad altri prodotti minori…
Al naso è potente ed elegante al tempo stesso, con predominanza di frutti di bosco, lamponi, ribes, ciliegia, seguiti a breve distanza dai sentori di ananas e agrumi tipici dello chardonnay, e da un finale di lieve speziatura. Poche le note di crosta di pane, non perché non fossero presenti, bensì perché sovrastate dall’intensità dei sentori di frutta rossa derivanti dal pinot nero, qui presente sicuramente in maggioranza.
Se fosse stata una degustazione ad occhi bendati, appena messo in bocca il primo sorso, avrei sicuramente pensato ad un rosso di Borgogna, se non fosse stato per le bollicine. Il corpo e la struttura erano quelle di un pinot nero vinificato fermo, come pure la presenza al palato di frutti rossi, di ribes e ciliegia sopra agli altri, ma con maggiore acidità e grande freschezza. Eccezionali la morbidezza del tannino e la rotondità complessiva, con un finale lunghissimo terminante in un sentore quasi speziato.
Insomma, due prodotti eccezionali che ci hanno fatto trascorrere una bella serata in compagnia, chiacchierando del più e del meno, disquisendo di politica, vini, donne e mestieri, tanto che, se la TV accesa non avesse iniziato il famoso countdown, non ci saremmo nemmeno accorti che era ormai giunta mezzanotte.
Buon 2011 a tutti!!!