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giovedì 23 ottobre 2008

Qualità e costanza

Rieccomi qua. E’ un bel po’ che non scrivo nulla di nuovo qui, ma d’altronde, come mi ero ripromesso fin da subito, farò un nuovo post ogni qualvolta avrò un vino veramente buono di cui raccontare. E oggi c’è!
Ci sono produttori vinicoli che hanno delle “punte di eccellenza” in determinate annate o in singoli vini, ma ce ne sono pochi che hanno una produzione costantemente di altissimo livello, pur considerando le difficoltà climatiche negli anni critici.
Appartiene a questa seconda tipologia la Fattoria Selvapiana, azienda nel cuore della zona vicino a Firenze in cui nasce il Chianti Rùfina d.o.c.g. E proprio di uno dei loro prodotti, il Chianti Rufina “VIGNETO BUCERCHIALE” del 2000, è il vino che ha accompagnato la mia cena di ieri sera.
Un vino sorprendente, che mi ha fatto presagire fin dal colore la sua grande concentrazione. Si è presentato rosso rubino carico con discreti riflessi granata, d’altronde sono passati 8 anni dalla vendemmia.
I profumi sono stati ben intensi, carichi di note di prugna e marmellata di ciliegie, ma con sfumature speziate, tipiche dei grandi sangiovese invecchiati, e una leggera nota balsamica. Molto interessante come la grande “potenza” dei profumi non andasse a scalfire la piacevolezza al naso.
Al gusto ha mostrato grande concentrazione e complessità, in cui si sono alternati gli iniziali aromi di ciliegia e mora con i successivi di spezie, tabacco e un finale lievemente erbaceo (ma proprio lieve).
Un grande vino, che ha fatto da degno erede alle annate precedenti che mi era capitato di assaggiare in un’apposita verticale fatta qualche mese fa’. Per la cronaca, in quell’occasione avevamo provato le annate 1985, 1988, 1990, 1993, 1995 e 1999. Pensate che in quell’occasione, la bottiglia migliore a detta di tutti i presenti era proprio la 1985, e questo dimostra la grandiosità e la longevità di questo prodotto!!!

martedì 7 ottobre 2008

Un assoluto fuoriclasse!!!

In anni e anni di assaggi di grandi vini, mi sono ormai costruito una personalissima classifica dei “migliori in assoluto” nelle varie tipologie.
La “top 10” è composta da singole annate di vini che all’assaggio mi hanno davvero impressionato oltre l’immaginabile, e per entrare oggi in questa lista, un vino deve essere davvero un “super-fuoriclasse”.
Per festeggiare una ricorrenza molto importante, ieri sera mi aspettava effettivamente un grande vino, almeno sulla carta, ma non mi sarei aspettato che questo entrasse così prepotentemente nei primi dieci!!!
Si tratta del famoso sangiovese (in purezza, ovvero 100% di uva sangiovese) FLACCIANELLO DELLA PIEVE dell’ottima azienda Fontodi, in Toscana, ma l’annata bevuta ieri sera è la 1988 (quindi un vino fatto 20 anni fa’!!!).
Non mi voglio soffermare troppo sull’azienda produttrice, che ho visitato personalmente la scorsa primavera, e che ritengo composta da persone squisite e competenti, ma questo millesimo ha rivelato tutta la grande qualità che ha reso famosa negli anni l’enologia toscana.
Devo anche complimentarmi con il titolare del ristorante in cui abbiamo cenato, che è una persona seria e competente, oltre che un buon conoscente, per aver conservato in maniera così splendida le bottiglie per tutti questi anni.
Il vino è stato stappato alle 18:30, quindi praticamente due ore e mezza prima di berlo, cosa d’altronde necessaria con vini di quest’età, per donare loro l’ossigeno che risveglia i loro aromi a lungo “assopiti” sotto il sughero.
Nel bicchiere si è presentato rosso rubino acceso, non particolarmente carico, come infatti ci si deve aspettare in un tipico sangiovese, e con qualche piccolo riflesso granata, segnale di un vino ancora fresco e vivo.
Al naso… un’esplosione di aromi fini ed eleganti allo stesso tempo, per nulla invasivi, anzi, potevano essere paragonati ad una brezza leggera che sale fino alle narici. Un vino, badate bene, non semplice e con mille sfumature date dai vari composti che l’invecchiamento ha creato. Hanno prevalso sugli altri tabacco, cacao e spezie, ma erano molto ben avvertibili l’amarena e gli altri frutti rossi tipici del sangiovese che mi aspettavo di trovare.
In bocca ha lasciato andare il meglio di sé, mostrando una predominanza assoluta di dolce amarena, accompagnata da una freschezza e da un’acidità che, se non avessi saputo l’anno di vendemmia, avrei scommesso essere di un vino molto più giovane, al massimo vecchio di 6 o 8 anni!
Con l’andare del sorso, hanno seguito aromi di cacao e tabacco, con tannini vellutati e leggeri… piacevolissimi! Incredibile davvero la sua longevità, credo sia la prima volta che un vino di 20 anni mi sorprenda a tal punto per la sua freschezza!
Assolutamente nei primi 10 vini di tutta la mia vita, ma per il momento direi che si colloca direttamente nel podio dei grandi rossi!!!
Fantastico!

Muscoloso e gentile

C’è poco da dire… quando i francesi decidono di fare un “bollicine” davvero buono, hanno quella marcia in più!!! D’altronde, hanno il clima, hanno il terreno, e soprattutto hanno tre secoli di esperienza in più di noi!!!
Questo concetto me l’ha di nuovo confermato un paio di giorni fa’ un ottimo champagne, il “V.P.” della cantina Egly-Ouriet. La sigla sta per Vieillissement Prolongé, ovvero un vino che rimane sui lieviti per un tempo molto maggiore rispetto agli champagne di normale produzione dell’azienda.
Il risultato è un vino dal color paglierino carico, e così deve essere per forza, essendo composto da sola uva pinot noir (vinificata in bianco, senza la buccia, per chi non lo sapesse), con un bel perlage fine e persistente.
Al naso ha mostrato una grande finezza dei profumi, eleganti e freschi ma forse un po’ troppo esili nell’intensità complessiva. Ho sperato che questo, invece che un difetto, fosse un segnale di grande concentrazione e grande mineralità al gusto, ben al di sopra della media… e così è stato!
In bocca ha subito “mostrato i muscoli”, con una potenza e una struttura che difficilmente si trovano negli champagne francesi. Evidentissimo un piacevole gusto di ribes, tipico del pinot noir, davvero in forte supremazia sulle altre sensazioni, poi si notano la grande salinità e la mineralità di questo vino accompagnate da un finale amandorlato che rimane in bocca per diversi secondi dopo il sorso.
Sono pochi gli champagne che mi sorprendono, e questo lo ha fatto in maniera davvero prorompente, tanto che dopo il primo sorso mi è scappato ad alta voce un “caspita!” che ha fatto lanciare qualche sguardo incuriosito dai tavoli vicini. Sicuramente non è adatto come “apertura” di una cena di pesce, ma vi garantisco che ha accompagnato splendidamente l’ottima frittura mista che avevo ordinato per secondo!

venerdì 3 ottobre 2008

Formaggi e "marmellata d'uva"

Quando si hanno degli ottimi formaggi molto stagionati, non c’è niente di meglio di un buon Amarone della Valpolicella. E’ un vino particolare, non piace a tutti, ma è una delle tipologia di rosso che preferisco. E proprio perché ne ho provati diversi che devo, a malincuore, confermare che in giro esiste tanta “spazzatura” con scritto in etichetta “Amarone della Valpolicella”, e una cosa ancora peggiore è che questa “spazzatura” se la facciano pagare 30, 40 euro a bottiglia (o ancora di più).Ma a parte questa piccola polemica, ieri sera ho ricevuto la graditissima visita di una coppia di amici australiani (anzi… italiani emigrati) e ho tirato fuori due formaggi di altissimo livello: un pecorino e un misto latte di capra+pecora, entrambi super-stagionati. L’occasione era ghiotta per stappare l’Amarone “PERGOLE VECE” 2001 dell’azienda Le Salette.Era ancora un po’ giovane, si poteva dargli ancora un paio d’anni di attesa in bottiglia per dare il meglio di sé, ma ha prevalso la voglia di provare di persona se fosse vero tutto quello che avevo letto di positivo su questo vino.Il colore si è presentato ben scuro, un rosso porpora quasi impenetrabile (d’altronde una delle uve che lo compone si chiama, appunto, “corvina”).Al naso ha mostrato tutti i caratteri tipici che si devono trovare nell’amarone, il profumo di amarena, di marmellata di more e ciliegie, di frutta rossa matura, ben amalgamati, eleganti e dolci. Si sente discretamente anche la nota calda dell’alcool (questo vino fa 15 gradi!!!), ma non disturba.In bocca è stato potente, ottimamente strutturato e non in maniera eccessiva (come invece capita spesso in qualche amarone). Presenta una nota quasi dolce e una discreta morbidezza, quasi vellutata. L’alcool non da fastidio, lo si sente ma quasi scompare dietro all’intensità della “marmellata” che domina sugli altri gusti.Un ottimo accompagnamento alla sapidità dei formaggi che avevamo davanti, ma questo è uno dei pochi amaroni “di gran classe” che può accompagnare senza eccessi un secondo piatto saporito, come un buon brasato o una portata a base di cinghiale.Quel che avevo letto in una rivista del settore è proprio confermato!!!