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lunedì 10 ottobre 2011

Per molti, ma non per tutti

L’appassionato di vini sa bene quanto sia importante conoscere, per le varie zone di produzione, l’andamento climatico delle annate, che si ripercuote direttamente sulla qualità e soprattutto sulla futura evoluzione di un qualsiasi vino.
Una sera della primavera scorsa mi trovavo a cena nell’enoteca di un amico, col quale siamo entrati nella sua enorme e fornitissima cantina a cercare il vino per la serata, quando l’occhio mi è caduto su una bottiglia di vino da tavola di Toscana (allora... ora Toscana IGT) SAN MARTINO 1994, sangiovese in purezza, del rinomatissimo produttore di Panzano in Chianti, Villa Cafaggio.
A mia memoria, il 1994 è una di quelle annate mediocri, che non hanno consegnato nulla di particolare all’antologia vinicola italiana, e quindi, un po’ con tono sarcastico gli ho chiesto che cosa ci facesse quella bottiglia del 1994 tra altre annate, decisamente più note e apprezzate (per la precisione stava in mezzo tra un Biondi Santi 1990 e un Flaccianello 1997…).
Lui mi ha risposto che il 1994 è stata una cattiva annata “Per molti, ma non per tutti”.
Al che, dato il prezzo più che accessibile, l’ho portata a casa e l’abbiamo stappata proprio un paio di sere fa’.
Beh… Ragazzi che vino!!!
Colore rosso rubino vivo, con pochissimi riflessi granati, sembrava quasi avere 10 anni di meno rispetto alla sua data di vendemmia.
Naso elegantissimo e perfettamente tipico del grande sangiovese toscano fin da subito: marasca matura, mora e prugna in grande evidenza, contornate da tabacco, spezie e da una vena tostata. Con il passare delle mezz’ore è diventato sempre più intenso, ma nel contempo fine ed elegante, davvero sorprendente!
In bocca mi ha stupito per la finezza dei tannini, vellutati sulla lingua e quasi "dolci"; richiamata alla grande la frutta rossa, confettura di marasche in bella evidenza, tabacco e una miriade di piccole sfumature, che mi avrebbero fatto sorseggiare il vino per ore, per individuarle tutte. Nessuna spigolatura, nessun segno degli anni passati in bottiglia. Incredibile freschezza e rotondità.
Conoscevo già questo vino, del quale avevo già potuto ben apprezzare l’annata 1999, ma questo 1994 mi ha confermato che a Villa Cafaggio hanno davvero saputo tirar fuori il meglio da un’annata sicuramente non così ottimale.
Era proprio vero: ’94 mediocre… “per molti, ma non per tutti!”

venerdì 30 settembre 2011

Sorpreso e felice

Se qualcuno di voi pensa che l’unico modo per poter degustare uno champagne davvero buono ed emozionante sia quello di spendere parecchie decine di euro… Beh… si sbaglia di grosso!!!
E’ il caso del post di oggi, nel quale vi racconto dello Champagne Blanc de Blancs di Pascal Doquet che ho stappato qualche sera fa’, e che mi ha davvero impressionato come rapporto qualità/prezzo.
A parte il fatto che mi sono aggiudicato tre bottiglie all’asta per la modica cifra di 63 euro, ma si tratta comunque di un prodotto che nelle enoteche on-line viaggia tra i 28 e i 35 euro a bottiglia, quindi cifre non proibitive per avere un buon champagne.
Nel bicchiere si mostra di un bel giallo vivo, quasi oro, con leggeri richiami verdolini, molto carico e questo mi fa presagire subito ad una bella concentrazione. Il perlage è fine e delicato, con bollicine piccole e continue, segno di una frizzantezza ben dosata e per nulla invadente.
Al naso mostra bellissimi sentori di fiori bianchi, di ananas e agrumi, circondati da una vena sottile di pesca, crosta di pane e una nota mielosa piacevole e intrigante.
In bocca si fa notare subito per la grande concentrazione, abbinata ad un equilibrio che mi ha decisamente sorpreso. Mi ha quasi ricordato sorsi passati di ben altre etichette, molto più blasonate (e costose!). Anche qui evidentissime note agrumate, di mandarino e ananas, con un bel contorno di miele e un finale speziato piacevolissimo di salvia e altre erbe fini. Una complessità fuori dal comune per un prodotto di questa fascia di prezzo. Un prodotto quindi di ottima fattura, che mi ha fatto decidere che le altre due bottiglie rimaste saranno stappate sicuramente in qualche occasione importante da festeggiare.

lunedì 19 settembre 2011

Bel colpo!!!

Qualche volta mi capita di partecipare a qualche asta di vino on-line, anche se me ne aggiudico ben poche, data l’esiguità delle mie offerte (e del mio portafoglio!!!). Però, quando capita di trovarne una con pochi partecipanti, ho la possibilità di portarmi a casa qualche vino interessante a prezzi stracciati.
E’ il caso del vino protagonista di questo post, ovvero il bordeaux gran cru classé Margaux BRANE-CANTENAC 1998, aggiudicatomi su ebay per la modicissima somma di 39,90 euro (da notare che il mio amico che lo ha degustato assieme a me, l’ha visto in enoteca attorno agli 80 euro). Sostanzialmente: un bel colpo!!!
Bene, come in tutti i vini della sua denominazione, i due vitigni principali sono il cabernet sauvignon (che qui concorre per il 55% circa) e il merlot (che qui concorre per il 40% circa), affiancati in questo vino anche da un 4,5% di cabernet franc e da uno 0,5% di carmenère.
Non chiedetemi se si sentisse l’apporto del carmenére in fase di degustazione perché credo che nemmeno il sommelier campione del mondo in carica si sarebbe accorto della sua presenza, ma in ogni caso il blend ha portato ad un vino perfettamente equilibrato e davvero giunto ad una maturazione ottimale.
Intanto devo far notare che già dal tappo avevo sentito una gamma di profumi piacevolissima, dalla prugna al cioccolato fondente… E già questo è stato un ottimo segnale per quello che ci sarebbe toccato di lì a poco.
Ma veniamo alla vera degustazione: al bicchiere si è mostrato rosso rubino scuro, abbastanza carico anche se non impenetrabile. Pochi riflessi granati per la sua età, pensavo ne mostrasse di più… Comunque bene così, segnale che il vino era ancora in splendida forma!
Al naso si è mostrato dapprima chiuso ed ermetico, con pochissimi profumi in risalita dal bicchiere, con anche una lieve ma presente nota di riduzione; ma dopo un’ora e mezza circa dall’apertura (intanto ci siamo finiti una bottiglia di champagne di cui racconterò un’altra volta) si è lasciato andare con una moltitudine di sfumature speziate, fini, elegantissime e ben amalgamate, accompagnate da prugna matura, mora e marasca, tabacco e cioccolato.
Al sorso mi ha sorpreso per i suoi tannini vellutati, morbidi e setosi, proprio giunti al grado perfetto di maturità; ha mostrato una rotondità e una completezza eccezionali, senza una sola “spigolatura” fuori posto. Tra la frutta rossa anche qui ha prevalso la prugna matura accompagnata da marasca e da un piacevole tappeto di sottobosco. Finale lunghissimo di tabacco, spezie fini e caffè.
Un vino eccezionale, elegantissimo e splendido rappresentante di quali siano le potenzialità e le qualità della zona di Margaux. Ma d’altronde non lo avevamo minimamente messo in discussione, dato che il proprietario di Ch. Brane-Cantenac è lo stesso (nientepopòdimeno) dello Chateau d’Yquem… Insomma… Basta la parola!!! 

giovedì 28 aprile 2011

Colpo di teatro delle 19:00!!!

Che cosa avrei potuto rispondere, secondo voi, ad un amico che sabato pomeriggio mi ha detto: “che ne dici stasera di farci lo CHATEAU ANGELUS 1999?”
“Ma no… dai… ma ti sembra il caso, con quello che costa? Piuttosto pesco dalla mia cantina uno dei miei chianti del 2007.”… SEEEE… PINOCCHIO!!! Col cavolo che avrei risposto così!!! (con tutto il rispetto per i miei amatissimi chianti).
Inutile dire che ci sono rimasto di sasso, dato che si tratta di uno dei grandissimi vini di Bordeaux, per la precisione un Saint-Emilion 1er Grand Cru Classé, uno dei vini che fanno parte della “leggenda” enologica mondiale; quindi non ho saputo far altro che accettare e ringraziare. Ma ancora non sapevo che come “apertura” della serata, questo mio stesso amico aveva deciso di assaggiare con noi lo champagne BLANC DE BLANCS, MILLESIME 1996 di BRUNO PAILLARD, un altro vino di cui avevo letto e sentito grandi cose.
Che dire? Alle 19:00 di sabato ho scoperto che ci saremmo trovati davanti ad una grande seratona! Spettacolo!!!
Ma procediamo con ordine: abbiamo stappato contemporaneamente le due bottiglie, per dar modo al nostro rosso di ossigenarsi un pochino, e già dai tappi, di entrambi i vini, si sentiva subito che avremmo avuto a che fare con due grandissimi prodotti.
Il nostro champagne ha mostrato un bel colore giallo oro vivo, limpido e abbastanza carico, con bollicine fini e continue che salivano gioiosamente verso la superficie.
Al naso mi ha sorpreso per la finezza nei profumi, contemporaneamente fini ma complessi, decisamente variegati, dei quali ha predominato dapprima la crosta di pane appena sfornato e le note agrumate dello chardonnay, seguite poi con minore intensità da fiori bianchi, ananas e miele in successione piacevolissima e perfettamente distinguibile.
In bocca è risaltato per freschezza, acidità e perfetto equilibrio, bello minerale e di discreta struttura pur trattandosi di un blanc de blancs (azzardo forse che sia chardonnay in purezza?) con le note agrumate in bella evidenza, tra le quali in predominanza il pompelmo rosa, poi erbe aromatiche, spezie fini e sul finale il lungo ritorno della crosta di pane. Un vino complessissimo, che avvia il sorso con una gamma di sensazioni e lo chiude con tutt’altra. Eccezionale da tutti i punti di vista, non siamo riusciti a trovargli un solo difetto.
L’abbinamento non sarebbe di certo quello consigliabile “sulla carta”, ma vi garantisco che ha accompagnato splendidamente i bigoli al ragù d’anatra che erano previsti come primo piatto.
Come secondo piatto ci siamo fatti le costolette di maialino marinate, rosolate e sfumate con birra rossa scozzese. E lì… lo Chateau Angelus ha fatto vedere di che prodotto stiamo parlando!
Colore rosso rubino vivo con qualche unghia di granato, non troppo carico, ma leggermente di più di altri bordeaux con cui ho avuto il piacere di incontrarmi. Probabilmente questo è dovuto alla buona percentuale di merlot (se non ricordo male, attorno al 40%, mentre il rimanente è quasi tutto cabernet franc).
Al naso ha mandato un’esplosione di prugna nera, marmellata di more e marasca, attorniata da una buona speziatura, tabacco e cioccolato nero. Un’eleganza e una finezza che non ti aspetti, unite ad una buona intensità nei profumi, nei quali mi sono divertito a cercare ogni piccola sfumatura… e ce n’erano… moltissime!!!
In bocca ha mostrato una discreta struttura, ma in perfetto equilibrio con l’eleganza e con tannini morbidissimi, vellutati e piacevoli, che facevano da contorno a una marmellata di more e prugne secche, in bella evidenza, seguite da cassis, tabacco da pipa, erbe officinali e un bellissimo finale di cacao.
Un vino di beva più che piacevole, rotondo e affascinante data l’enorme complessità delle sensazioni che si potevano estrapolare da ogni singolo sorso, dalle quali sembrava assolutamente assente l’alcol, malgrado i 13,5% indicati in etichetta.
Eh, c’è poco da dire… Ai grandi Bordeaux dobbiamo solo fare “chapeau”!
Toh… Mi è venuta pure la rima.

lunedì 28 marzo 2011

Il primo amore non si scorda mai

Era il lontano millenovecento… “e rotti” (non chiedetemi a quanto ammonta il “e rotti”, ché non me lo ricordo più), quando un mio carissimo amico ci ha inviato a cena in un ristorante del veneziano e ha ordinato come vino un LE STANZE dell’azienda agricola Poliziano (forse si trattava del 1995... Boh?), facendomi così assaggiare per la prima volta in vita mia un grande vino importante. Fino ad allora avevo conosciuto solamente banalissimi vinelli del contadino “dietro casa”, quelli che bevevo mio padre a tavola, che per quanto, magari, discreti non avevano nulla a che vedere con i grandi vini italiani.
Infatti, fino a quel periodo, ero stato un gran cultore delle birre speciali, che mi attiravano molto più del vino, ma da quell’occasione, dalla stupefacente impressione che mi fece quel taglio bordolese toscano, è iniziata la mia grande passione per il mondo del vino, che come vedete è cresciuta negli anni e perdura ancora oggi.
Bene, questo sabato sera, a cena con quello stesso amico, abbiamo pescato dalla mia personalissima cantina proprio un LE STANZE annata 2001, dopo anni e anni che non mi capitava più di aprirne uno.
Rispetto a quello che avevo bevuto la prima volta anni addietro, ai classici cabernet sauvignon e merlot si è aggiunta una piccola percentuale di sangiovese, con l’intento di donare una maggiore freschezza e una maggiore complessità a questo prodotto, che già era entrato di prepotenza negli anni addietro nell’olimpo dell’enologia toscana.
Questo 2001 al bicchiere ha mostrato un rosso rubino scuro e impenetrabile, notavo con pochi riflessi granati per i suoi 10 anni di maturazione, primo segnale che mi ha fatto intuire ancora le grandi potenzialità per un ulteriore invecchiamento.
Al naso ha mostrato un’esplosione di confetture e di frutta stramatura, in primis prugna, mora nera e marasca, attorniate da una miriade di piccole sfumature, spezie, pepe nero e polvere di cacao amaro. Chiude l’olfatto con un accenno di tostatura, poco percettibile, ma presente, che ha donato un tocco di complessità ad un insieme di sensazioni già molto variegato e potente, ma molto ben equilibrato nella sua intensità.
In bocca ha mostrato una notevole struttura e una concentrazione invidiabile, pur mantenendo una facilità di beva e una freschezza che non ti aspetti. Anche qui ha prevalso immediatamente il cabernet sauvignon, subito individuabile con la sua confettura di prugna stramatura e cassis, seguito a ruota dal merlot, con la sua marasca viva e presente e una piacevole mora matura. Chiude con una variegatissima gamma di speziature e di sentori terziari, tra cui spiccano tabacco da pipa e cacao, attorniati da una lunga, delicata e piacevole nota vegetale.
Assolutamente un vino da ricercare, acquistare e conservare, data la grande potenzialità di ulteriore invecchiamento; se poi riuscirete a trovarne più di una bottiglia, una lasciatela in cantina e una apritela a breve. Sentirete che grande sorpresa!!!
E’ stato bello avere la riconferma, dopo tanti anni, che il prodotto che mi ha fatto entrare nel mondo dei grandi vini è rimasto un assoluto campione dell’enologia italiana.

venerdì 18 marzo 2011

Ho sbagliato... per fortuna!!!

Qualche giorno fa’, mentre in enoteca stavo scegliendo qualche bottiglia da tenere a casa, mi sono imbattuto in uno scaffale di Chianti Classico 2004 del produttore Fontodi, che conosco molto bene, dato che non manco mai di far loro visita ogni volta che faccio un salto in terra di Toscana (sono gli stessi che producono il Flaccianello della Pieve di cui ho già parlato ampiamente).
L’annata 2004 è stata abbastanza buona nella loro zona e nel Chianti in generale, quindi dato anche il prezzo relativamente basso (sui 14 euro in enoteca) non ho esitato nemmeno un istante. Purtroppo (o per fortuna), ho la dannata abitudine di confrontare controluce due/tre bottiglie dallo stesso scaffale per verificare eventuali cali di livello, che di solito è presagio di tappo fallato (LO SO: questa cosa si fa con i vini particolarmente invecchiati, ma mi viene automatico farlo sempre… Sarò mentalmente deformato, che volete farci?). Un mio amico dice che secondo lui lo faccio per scegliere la bottiglia dove c’è più contenuto… Bah, magari avrà pure ragione!!! Ahahahahah…
Comunque sia, per una possibile svista del commesso dell’enoteca, oppure per distrazione di un cliente precedente, fatto sta che nello scaffale dell’annata 2004, era presente una bottiglia del 2005. Io purtroppo non ci ho fatto caso, e fatalità mi sono portato a casa per errore proprio quella!
Purtroppo il 2005 in Toscana è stata un’annata altalenante, che ha dato, per carità, alcune sorprese positive, ma in linea generale risulta qualitativamente inferiore alla precedente. Per questo, quando ho riposto la bottiglia nella mia cantina e ho guardato bene l’etichetta ho arricciato un po’ il naso e ho detto, vabbè… questa non vale la pena farla invecchiare, me la bevo stasera. E ho fatto proprio bene!!!
Questo Chianti Classico 2005 di Fontodi rientra sicuramente in quelle “sorprese” positive della sua annata che citavo poco fa’. Al bicchiere ha mostrato un bel rosso rubino discretamente carico, con una leggerissima unghia granata, ma mi vien da dire che forse c’era e forse no. L’intensità del colore mi ha subito confermato quello che effettivamente già sapevo, ovvero che oltre al sangiovese è presente una buona percentuale di qualche altro vitigno ben carico di colore, nella fattispecie il cabernet sauvignon (se non ricordo male presente per circa il 30%).
Al naso mi ha stupito per la buona intensità delle sensazioni fruttate, davvero ben amalgamate: marasca matura in primis, seguita poi da mora, prugna, cassis (il cabernet si sentiva in maniera inequivocabile) e da un bel tappeto speziato.
In bocca è partito subito di buona struttura, discretamente concentrato e abbastanza tannico (pur mantenedo una discreta acidità e un ottimo equilibrio), richiamando la marasca matura sentita all’olfatto in primo impatto, ma poco dopo è emersa iconfondibile la prugna matura del cabernet sauvignon, che è sfumata poi in una sensazione di spezie e in una chiusura piacevolmente erbacea a fine sorso. Molto piacevole e invitante alla beva.
Pensavo di aver preso una cantonata nell’aver sbagliato bottiglia, e invece tornerò presto in negozio a prenderne un’altra, magari assieme ad una del 2004 per una mini verticale da fare in compagnia.
E Magari stavolta mi ricorderò di far caso alle etichette!!! Mannaggia a me…

lunedì 14 marzo 2011

Il gusto di saper aspettare

Ho parlato in più occasioni del fatto che alcuni vini diano effettivamente il meglio se degustati con i giusti anni di invecchiamento. Per questo, sabato sera ho fatto un salto sulla sedia quando un mio amico ha portato a cena una bottiglia di Barolo Riserva 1989 di Giacomo Borgogno, assieme ad un altro barolo del 1997 che non citerò.
Questo perché, il più vecchio dei due ha decisamente surclassato il più giovane, senza diritto di replica!!! Aggiungo (e sottolineo) che quel barolo del 1997 è stato affinato completamente in barriques, e si è mostrato tendenzialmente più corposo, tannico e concentrato… quello che di solito definisco un vino “muscoloso”, mentre il nostro Borgogno del 1989 ha fatto esclusivamente “botte grande”, quindi affinato come prevede la “vecchia scuola” dei Barolo.
Personalmente, sono molto più vicino a questo modo tradizionale, che porta a vini di eccezionale longevità, magari non di pronta beva da giovani, ma che sanno raggiungere eleganza e complessità senza paragoni dopo il giusto invecchiamento. E infatti i 21 anni del protagonista di questo post hanno pienamente confermato che, con la giusta attesa, i grandi Barolo, che nascono già di per sé come ottimi vini, sanno diventare prodotti assolutamente eccezionali.
Ma veniamo alle mie note di degustazione. Il colore di questo ’89 si è mostrato di un bel rosso rubino con bei riflessi granati tipici dell’invecchiamento quasi in contrasto con una limpidezza viva, da vino quasi giovane. Altra cosa che mi ha sorpreso è l’aver notato pochissimo deposito sulla bottiglia dopo averla terminata; pensavo di trovarne molto di più, tanto che avevo quasi ipotizzato inizialmente di utilizzare il decanter… e invece, se l’avessi fatto, si sarebbe rivelato superfluo.
Dopo il necessario tempo di ossigenazione, al naso ha mostrato subito un’esplosione di sentori di frutta rossa, ciliegia e lampone sopra agli altri, davvero di grande intensità. Un tappeto di tabacco e una coda di altre piccole sensazioni terziarie facevano da elegantissimo contorno al fruttato predominante, contribuendo a rendere il “naso” di questo vino allo stesso tempo piacevolmente inteso e fine.
Appena messo in bocca il primo sorso ho esclamato tre parole: “ciliegia, pepe e caffè!”, e infatti erano queste le tre sensazioni principali e predominanti al palato, che si susseguivano proprio nell’ordine in cui le ho scritte. Poi, approfondendo maggiormente l’assaggio, sono emerse altre sensazioni fruttate che si affiancavano alla principale, quali il lampone sentito precedentemente all’olfatto e un’accenno di mora da gelso. Il pepe nero era davvero vivo e presente, segnale di un’ottima evoluzione in bottiglia, affiancato poi da tabacco da pipa, cacao amaro e un bel finale lungo di caffè. Il tannino era presente, ma si è fatto sentire poco, lasciando che il vino mostrasse un’eleganza e una finezza quasi degna dei grandi pinot noir francesi.
Concludo lasciando comunque la porta aperta all’altro barolo, quello del 1997, che secondo me… assaggiato tra una decina d’anni… sarà probabilmente all’altezza!
Se sarà così, io sarò pronto a scriverne.

martedì 8 marzo 2011

Un vasetto di marmellata di ciliegie?

Aver a che fare col mondo dei blog porta, tra le altre cose, anche gradite sorprese come questa di cui mi accingo a scrivere. Infatti è successo quasi per caso che capitassi  sul blog dell’amico Gianpaolo Paglia, proprio quando aveva appena scritto della loro nuova uscita enologica. Si tratta del ciliegiolo in purezza VALLERANA ALTA annata 2008 (la prima) prodotto dal vignaiolo Antonio Camillo in collaborazione con l’azienda di Gianpaolo, Poggio Argentiera.
Data la novità del vino, di cui potete leggere alcune informazioni sul sito di Poggio Argentiera, Gianpaolo ha deciso di seguire anche questa volta la consuetudine che l’ha contraddistinto tra gli appassionati enoici e internauti, ovvero di scegliere un ristretto numero di bloggers a cui far assaggiare il proprio vino, dando così la possibilità di scriverne liberamente sul web, senza moderazioni e senza censure.
Mi complimento con lui e con tutta la sua azienda per la volontà di “mettersi in gioco” con i diretti consumatori, invece di limitarsi a comparire sulle guide e sulle riviste di settore; secondo me è un grande segnale di serietà e di attenzione verso la clientela finale, che (alla fin fine) è quella a cui deve piacere effettivamente il vino.
Come dicevo, sono entrato a far parte dei 5 fortunati che hanno avuto la possibilità di assaggiare questo nuovo prodotto in assoluta anteprima, per puro caso, dato che ho risposto tra i primi, perché non potrei sicuramente gareggiare per competenza e visibilità con altri bloggers, decisamente più esperti di me. Comunque sia il vino è arrivato puntuale la scorsa settimana e la curiosità me lo ha fatto aprire quasi subito, domenica sera.
Innanzitutto, devo premettere che l’ho trovato ben diverso dal primo ciliegiolo che avevo assaggiato prodotto sempre dalle stesse persone, il Principio di cui avevo raccontato qualche mese fa’.
Ho notato la differenza fin dal colore nel bicchiere, più carico, di un bel rosso rubino vivo, con un’unghia di granatura leggera a bordo bicchiere, pur mantenendo una buona trasparenza.
Avvicinando il naso al bordo, si è fatta sentire immediatamente una ventata di ciliegia matura, evidente e nitida come in poche altre occasioni, attorniata da una leggerissima speziatura e da una fine nota legnosa, che si è attenuata con il passare dei minuti. Mi è piaciuta molto l’intensità del profumo, avrei forse preferito un pochino di varietà nelle note fruttate, che invece hanno mostrato solo questa carica e preponderante ciliegia (accompagnata, forse dopo un’oretta dall’apertura, da un leggero profumo di viola, quasi timido a mostrarsi, ma questa sensazione era forse più cercata da me che effettivamente percepita). Non so dire se la monovarietà della frutta dipendesse da una mancanza di altre sensazioni o dall’effettiva preponderanza della nota principale.
Sembrava quasi di aver messo il naso in un vasetto di marmellata di ciliegie, più che in un bicchiere di vino. Sicuramente non un difetto, ma diciamo probabilmente una caratteristica intrinseca, dato il vitigno (ciliegiolo, appunto…). Mi piacerebbe sapere se questo fosse un risultato effettivamente cercato dai produttori, o se derivi dal terroir della zona.
In bocca ha mostrato una discreta struttura, forse più vicina ad un sangiovese “base”, che ad un tipico ciliegiolo, ma del resto i due vitigni sono molto imparentati tra loro. In ogni caso la corposità non si mostra assolutamente eccessiva, anzi rimane una buona freschezza e una grande bevibilità. I tannini sono presenti ma non spiccano, sembrano quasi fluidi, pur donando una morbida astringenza, e lasciano emergere (finalmente!!!) anche un po’ di complessità nelle sensazioni fruttate rispetto al naso. Predomina, manco a dirlo, una bella confettura di ciliegie, attorniata da una bella sensazione di prugna matura e mora nera, con un finale discretamente lungo, piacevole e lievemente speziato.
Un prodotto assolutamente da consigliare per chi volesse prendere confidenza con un buon ciliegiolo di Maremma; ancora di più se teniamo in considerazione che questo vino sarà messo in vendita attorno ai 14 euro in azienda... Sicuramente ben spesi!

lunedì 21 febbraio 2011

Non c'è due senza tre!

Come non onorare un vecchio e famoso detto popolare, quando se ne presenta l’occasione? Infatti, avevo già raccontato di un paio di vini prodotti in Maremma dall’amico Gianpaolo Paglia nella sua azienda Poggio Argentiera, e quindi oggi vi racconto di un altro vino dei suoi, o meglio… di uno dei suoi prodotti di punta: il re della Maremma, ovvero il Morellino di Scansano riserva DOCG.
Il suo morellino “base” (anche se chiamarlo base è un po’ riduttivo) si chiama Bellamarsilia, del quale potete leggere qualcosa nel forum di Vino Veritas. Il suo “riserva”, invece, è il più famoso CAPATOSTA, del quale ho avuto l’onore di assaggiare in anteprima l’annata 2008. La composizione rientra nel classico disciplinare del morellino, con una grande maggioranza di sangiovese (se non ricordo male al 95%) con una piccola aggiunta di alicante, un vitigno molto presente nell’alto Mediterraneo, sia in Italia (Toscana e Sardegna soprattutto, meglio noto come Cannonau) che in Francia (lì chiamato Grenache) e in Spagna (dove viene chiamato Grenacha).
Tendenzialmente, sono abbastanza restio a stappare vini a base sangiovese così giovani, perché molto spesso mostrano tannini particolarmente “evidenti e invadenti” (scusate il gioco di parole, ma spero di aver reso l’idea); invece anche questa volta il vino di Gianpaolo è riuscito a sorprendermi piacevolmente…
Ma veniamo alle mie personalissime impressioni. Il colore è un bel rosso rubino scuro, tendente al viola vivo, molto carico di colore pur mantenendo una buona limpidezza.
All’olfatto mostra un’esplosione di frutta nera matura, in cui emergono principalmente mora e marasca nera, contornate da una lieve speziatura e da una piacevole nota di tabacco. Ottima l’intensità al naso, pur mantenedo una bella omogeneità tra le fragranze.
All’assaggio mi aspettavo che il tannino giovane e rustico tipico del sangiovese mostrasse i suoi possenti muscoli… e invece, pur presente, il tannino non spicca, e la sensazione che manda questo Capatosta è di una bella morbidezza… di un vino quasi fresco e di beva piacevolissima. Non manca una gran bella concentrazione, un corpo e una struttura notevoli, ma senza risultare invadenti. Prevale moltissimo la marasca sul palato, quasi monopolizza il gusto in bocca, ma poi la senti accompagnata da un sottofondo di more e frutti di bosco, con un finale lungo e piacevole che termina in una bocca lievemente speziata (se dovessi identificarne una in particolare direi forse forse… l’alloro).
Un gran bel prodotto, che l’amico Gianpaolo mi aveva chiesto di assaggiare da giovane, dato che, da questa annata, sta man mano riducendo l’uso della barrique, per arrivare ad eliminarla definitivamente dalla prossima.
Se il risultato che deriva da questa scelta è la grande freschezza che ho sentito in questo prodotto, allora concordo pienamente con la nuova filosofia che hanno intrapreso a Poggio Argentiera.

lunedì 14 febbraio 2011

A ruoli invertiti

Questa volta vi scrivo di due grandissimi vini, assaggiati “in parallelo” nella nostra cena di sabato scorso, che hanno mostrato delle caratteristiche ben differenti da quelli che avrebbero dovuto essere i loro “canoni di letteratura”.
La serata ha visto accompagnarsi un grande Bordeaux e un grande Borgogna, il primo della zona di Pauillac, quindi prevalentemente a base cabernet sauvignon, e il secondo del Clos di Vougeot, tipicamente pinor noir in purezza. I sopra citati “canoni di letteratura” prevederebbero che il bordolese si mostri tendenzialmente più tannico e strutturato rispetto ad un Borgogna, e invece questa volta c’è stata una, anzi… due sorprese.
Partiamo dal Pauillac, e nel dettaglio del Grand Cru Classé CHATEAU LYNCH BAGES annata 2004, un blend composto da 84% cabernet sauvignon, 9% merlot, 5% cabernet franc e un 2% di petit verdot (leggo queste percentuali sul sito web dell’azienda).
Al bicchiere si mostra di un bel rosso rubino intenso e discretamente carico, un bel colore brillante che lascia presagire subito la sua concentrazione.
Infatti non tradisce.
Al naso si mostra elegantissimo e molto complesso, con una prevalenza immediata di frutta rossa matura, prugna, mora matura e cassis, seguita da una lieve nota di tostatura, tabacco e cioccolato fondente.
In bocca mi ha sorpreso per i tannini morbidissimi, quasi vellutati sulla lingua, per nulla astringenti malgrado la grande concentrazione del vino. Questo aspetto mi ha trasmesso un’eleganza sopra alla media rispetto a moltissimi altri prodotti della stessa zona, quasi inaspettata trattandosi di un vino composto per la stragrande maggioranza da cabernet sauvignon, che tendenzialmente dona vini più strutturati e tannici. Invece questo 2004 scivola via soavemente senza trasmettere alcuna sensazione ruvida sulla lingua, né sul palato; una caratteristica che può avere solamente un grande fuoriclasse!
In ogni caso, all’assaggio hanno prevalso anche qui ottime sensazioni di prugna matura, e confettura di more, attorniate in maniera discreta e molto fine da note di tabacco, cioccolato e un lievissimo finale erbaceo. Bella la persistenza e la sensazione piacevole dopo il sorso.
La sorpresa che mi ha dato la straordinaria morbidezza di questo Bordolese è stata immediatamente seguita da un’altrettanto grande sorpresa, nello scoprire che il nostro rappresentante della Borgogna si mostrava decisamente più strutturato e tannico di tanti altri suoi conterranei di quella regione chiamata “Cote de Nuits”.
Nel dettaglio il vino è il Grand Cru CLOS DE VOUGEOT 2006 del produttore Faiveley. Nel bicchiere ha mostrato un colore rubino vivo, non particolarmente carico, ma bello limpido e trasparente.
Al naso mi sembrava leggermente meno intenso rispetto ad altri Borgogna che mi sono capitati, più fine ed elegante, con un bel sentore di ciliegia e ribes in primo piano, seguiti poi a distanza di qualche minuto da una lieve nota di fragola selvatica, e contornati infine da una lieve e piacevole nota tostata. Successivamente, dopo un’oretta dall’apertura, si è anche mostrata una puntina di pepe nero che ha donato una complessità ulteriore ad un prodotto già di per sé intrigante.
All’assaggio, come già anticipavo prima, ha mostrato una muscolosità ed una concentrazione superiore alla media di altri Borgogna che avevo assaggiato in passato, con una discreta dose di tannini in bella evidenza, belli morbidi e assolutamente in equilibrio con il resto delle sensazioni. Effettivamente, devo dire, mi sembrava quasi che la loro presenza impreziosisse questo vino, donandogli quella piccola forma di “potenza” che spesso manca nei vini di quella zona. Al palato hanno prevalso, in una cavalcata di sensazioni, la ciliegia, il ribes e il lampone selvatico, contornati da una piacevole nota affumicata e da un finale leggermente tostato.
Due grandissimi vini, forse un po’ atipici rispetto alle loro due zone di appartenenza, ma in ogni caso confermo che si tratta di due assoluti fuoriclasse che spero di poter assaggiare di nuovo in futuro.
Un grandissimo ringraziamento all’enotecario che ce li ha consigliati e un complimento alla sua competenza, nell’averci suggerito di far seguire il Borgogna al Bordeaux, consiglio perfettamente azzeccato. Effettivamente, i canoni “di letteratura”, avrebbero previsto l’ordine al contrario, ma la nostra scelta si è dimostrata perfetta!

lunedì 31 gennaio 2011

Ancora giovane a 20 anni

Ovviamente il titolo non va interpretato in chiave antropologica… Bensì enologica. E da questo punto di vista, se a più di 20 anni dalla vendemmia un vino si dimostra ancora grandissimo, allora ci troviamo davanti ad un prodotto davvero di levatura eccezionale.
Diciamo che solo alcuni vitigni sono in grado di dare prodotti che si prestano bene a lunghi invecchiamenti, tra questi il nebbiolo, unico componente dei famosissimi Barolo e Barbaresco, la corvina veronese, il cabernet, genitore dei grandi bordeaux francesi, e alcuni altri, tra cui il sangiovese, in particolare se coltivato in Toscana.
Proprio un vino fatto di sangiovese toscano è il protagonista di questo assaggio, anzi… un grande protagonista, di cui avevo già citato in passato le annate 1999 e 2001. Questa volta, invece, siamo andati alla grande con l’annata 1990.
Si tratta del (allora) vino da tavola di Toscana TORRIONE 1990 della fattoria di Petrolo.
Leggo dall’etichetta che viene prodotto con vigne piantate nel 1952, quindi nel ’90 avevano quasi 40 anni; i vini provenienti da piante così datate hanno sempre un fascino particolare, sembra quasi che l’età doni loro una dose di “esperienza” innata nel far maturare al meglio i propri acini. Uscendo dall’immaginario, sicuramente hanno le radici più profonde, che vanno a prendere sostanze e sali minerali differenti da quelli presenti in superficie, forse anche maggiormente concentrati, nonché una riserva di umidità maggiore del terreno che permette alla pianta di superare meglio i periodi particolarmente caldi o siccitosi.
Ma veniamo all’assaggio: il colore è un bel rosso bordeaux vivo, con qualche riflesso granato, ma non particolarmente evidente. L’intensità del colore mi ha dato subito il primo segnale di una straordinaria conservazione e di un’ulteriore potenzialità evolutiva.
Dopo quasi due ore dall’apertura (accorgimento assolutamente necessario con vini così datati), al naso ha liberato profumi intensi ed evoluti, in cui si sentono all’inizio cuoio, caffè e tabacco, seguiti dopo qualche minuto da un’esplosione di confettura di ciliegie, more stramature e prugne secche. Avrei passato mezz’ora a scovare e interpretare le mille sfaccettature delle nuances che salivano dal fondo del “ballon”, che mi hanno confermato l’ottimale evoluzione in bottiglia, ma la voglia di assaggiare era troppa.
Subito al palato ha mostrato una grandissima vitalità, un frutto caldo e avvolgente in confettura, nel quale predominavano assolutamente la marasca e la mora, uniti ad un tappeto complesso e variegato di tabacco, chiodi di garofano, pietra focaia, caffè e cacao. Il finale del sorso è stato persistente, caldo e piacevole, terminante in una nota tostata di caffè che mi sembra quasi di sentire ancora.
Un prodotto eccezionale, che è probabilmente arrivato al punto giusto di maturazione per donare a chi lo assaggia tutta la sua grandissima potenzialità.
Spero tanto che chi mi ha venduto questa bottiglia ne abbia almeno un’altra!!!

mercoledì 19 gennaio 2011

Il legame c'è, e si sente!

Per fortuna, ogni tanto mi capita ancora di trovare qualche vino relativamente economico che mostra una personalità propria, ben differenziata dalla media standardizzata di moltissimi prodotti di prezzo medio-basso.
E’ il caso dell’IGT Maremma Toscana BUCCE 2008 dell’azienda Poggio Argentiera, ottimamente gestita dall’amico Gianpaolo Paglia.
L’uva utilizzata è l’ansonica in purezza, un vitigno che si trova anche in altre zone affacciate sul mar Tirreno, soprattutto in Sicilia dove viene chiamato Inzolia.
Per questo prodotto, l’amico Gianpaolo ha deciso di effettuare una vinificazione sulle bucce per qualche giorno, pratica poco utilizzata sui vini bianchi, con un successivo affinamento sulle fecce. Questo accorgimento dona al vino una leggera dose di tannini e altre sostanze naturalmente presenti sulla buccia, che danno quasi un “tocco di rosso” alle sue caratteristiche gusto-olfattive.
Ma veniamo all’assaggio, accompagnato con un’ottima trota salmonata al forno: al bicchiere si è mostrato di un giallo oro discretamente carico, quasi come se si trattasse di una vendemmia tardiva, con una lieve torbidità naturale derivante dall’imbottigliamento senza filtrazione.
Al naso mostra profumi fini, non particolarmente intensi, nei quali si distinguono inizialmente fiori bianchi, camomilla e gelsomino più degli altri, accompagnati da sentori di frutta a pasta bianca, e poi da un sottofondo speziato, direi quasi di “macchia mediterranea”, a sancire il legame con il territorio di provenienza del vitigno.
Ma è in bocca che ha fatto capire benissimo la sua relazione con il “mare nostrum” e con la tipica flora che lo accompagna. Al palato la frutta passa in secondo piano, il floreale non si sente granché, forse rimane un po’ di traccia della camomilla sentita prima, ma emergono esplosive e vigorose le note tipicamente vegetali di rosmarino selvatico, di salvia, origano e erbe officinali, tutti amalgamati in un balletto equilibrato in cui emergono ora uno ora l’altro, contornati poi da una discreta astringenza tannica e da un finale lungo e amandorlato, piacevole e invitante a prendere subito un altro sorso.
La sapidità è presente, ma non domina, forse pecca un po’ in freschezza, ma credo che non fosse questa una caratteristica che si intendesse evidenziare in questo vino, quindi non la definirei un difetto.
Mi ha sorpreso la predominanza così marcata delle spezie mediterranee, davvero particolare. Non sarà di certo un caso, vista la regione da cui proviene.
Insomma, un buon vino in cui il territorio si sente davvero!!!

lunedì 3 gennaio 2011

Passar capodanno con due francesi...


Pottrebbe sembrare un titolo per raccontare di un capodanno a "luci rosse"... E invece parliam ancora di vino!!!

A capodanno l’unica bottiglia che non può mancare sulle tavole di un buon appassionato è la classica “bollicina” per brindare allo scoccare della mezzanotte. Noi, giusto per non rischiare di essere senza, abbiamo direttamente passato tutta la cena in compagnia di due champagne, autentici fuoriclasse in bottiglia: il KRUG millesimato 1996 (tra l’altro in magnum!) e il DOM PERIGNON ROSE’ 2000.
Queste due etichette fanno parte del gotha della produzione francese, sono note in tutto il mondo come due tra i migliori vini prodotti in questa fortunata regione, che è appunto il nord-est della Francia. Dopo l’assaggio, non abbiamo avuto alcun dubbio sui motivi di tale fama!!!
Abbiamo iniziato con il Krug, dato che era in magnum, per poter accompagnare sia l’antipasto che il primo.
Già stappare questo “titano” da un litro e mezzo mi ha messo una certa emozione, e l’annusata al tappo di rito metteva paura al solo pensiero che potesse risultare fallato.
Invece no… E per di più già dal tappo iniziavamo a presagire molto di quello che ci stava aspettando di lì a poco!!!
Iniziamo dal colore, un bellissimo giallo oro limpidissimo e brillante, solcato da un fine e persistente perlage.
Al naso, un’esplosione di sentori, di intensità eccezionale, nei quali ha predominato fin da subito un carosello di agrumi, ananas, fiori di campo e crosta di pane caldo. Successivamente sono emersi anche il ribes e una vena “burrosa”, morbida e carezzevole sulle narici. Mi ha lasciato di sasso la potenza con cui tutto questo saliva dal bicchiere, ma senza alcuna spigolosità, anzi, la complessità enorme riusciva a mantenere un grande equilibrio e una discreta eleganza. Cosa che si può ritrovare solo in prodotti come questo, di eccezionale levatura.
Al palato ha ben confermato la fama di fuoriclasse, con una sapidità e una freschezza davvero invidiabili, e che raramente mi sono capitate in altri vini, tanto che la sua facilità di beva invitava subito a prendere un secondo sorso, quasi fosse stato un vino “leggero”. Qui le note agrumate, pur presenti, hanno lasciato primeggiare i piccoli frutti rossi, soprattutto ribes e visciola sicuramente provenienti dal pinot nero, presente a quanto sembra in buona percentuale anche in questa annata, uniti ad una piacevolissima nota affumicata nel finale del sorso, che completava la complessità dei sentori di questo incredibile prodotto.
Da notare che gli agrumi, ed in particolare il pompelmo rosa, sono tornati in netta predominanza anche al gusto quando, la sera successiva, ho terminato gli ultimi due bicchieri che erano rimasti nella bottiglia dopo a fine serata. Con i secondi, invece, siamo passati al Dom Perignon rosé, che a detta di molti “esperti” del settore, dovrebbe essere il miglior rosé tra tutte le bollicine francesi.
Personalmente non so se posso proprio definirlo il migliore, ma sicuramente “se la gioca” con uno o due altri prodotti al massimo!!!
Il colore di questo secondo vino non è assolutamente definibile come rosa; è un bellissimo rosso chiaro e trasparente, perfettamente limpido e solcato da fini ed eleganti bollicine. Il rosa, lasciamolo ad altri prodotti minori…
Al naso è potente ed elegante al tempo stesso, con predominanza di frutti di bosco, lamponi, ribes, ciliegia, seguiti a breve distanza dai sentori di ananas e agrumi tipici dello chardonnay, e da un finale di lieve speziatura. Poche le note di crosta di pane, non perché non fossero presenti, bensì perché sovrastate dall’intensità dei sentori di frutta rossa derivanti dal pinot nero, qui presente sicuramente in maggioranza.
Se fosse stata una degustazione ad occhi bendati, appena messo in bocca il primo sorso, avrei sicuramente pensato ad un rosso di Borgogna, se non fosse stato per le bollicine. Il corpo e la struttura erano quelle di un pinot nero vinificato fermo, come pure la presenza al palato di frutti rossi, di ribes e ciliegia sopra agli altri, ma con maggiore acidità e grande freschezza. Eccezionali la morbidezza del tannino e la rotondità complessiva, con un finale lunghissimo terminante in un sentore quasi speziato.
Insomma, due prodotti eccezionali che ci hanno fatto trascorrere una bella serata in compagnia, chiacchierando del più e del meno, disquisendo di politica, vini, donne e mestieri, tanto che, se la TV accesa non avesse iniziato il famoso countdown, non ci saremmo nemmeno accorti che era ormai giunta mezzanotte.
Buon 2011 a tutti!!!