Questo titolo la dice lunga di quanto fossero (ma vale anche adesso) in ritardo le legislazioni in materia di denominazioni di origine per i prodotti vinicoli, rispetto allo stato reale dei fatti.
Infatti il vino di cui mi accingo a scrivere, e con il quale ho avuto un fortunatissimo incontro questo sabato sera, è un autentico mito in bottiglia della storia enologica italiana. Si tratta del vino da tavola di Mercatale Val di Pesa (questa era la sua denominazione al tempo) TIGNANELLO 1985 della famosissima azienda toscana Antinori.
Ora si tratterebbe di un “Toscana IGT”… Al tempo ancora non esisteva questa denominazione, quindi non potendo rientrare nel disciplinare del Chianti Classico, rimaneva relegato “sulla carta” a semplice vino da tavola (pazzesco!!!).
In un post passato vi avevo raccontato dell’annata 1990 di questo stesso vino, già giudicata eccezionale, ma questo ’85… ragazzi… Vale forse ancora di più della sua stessa fama.
Innanzitutto, l’annata è stata giudicata una delle migliori dell’intero secolo scorso in Toscana, fatto peraltro confermato dalla fama raggiunta anche da altri vini importanti in quello stesso millesimo (mi vengono ora in mente il Sassicaia, il brunello riserva di Biondi Santi, il Bucerchiale di Selvapiana, ecc… ecc… Tutti vini che hanno avuto un ruolo fondamentale nel rendere famosa l’enologia italiana nel mondo).
Comunque sia, torniamo al nostro Tignanello. Si tratta di un vino prodotto per la maggiorparte con uve sangiovese, ma con una discreta percentuale di cabernet sauvignon. Infatti, la presenza di quest’ultimo vitigno si è fatta ben sentire fin dall’apertura, nel colore, al naso e anche al gusto. Il sangiovese, invece, è arrivato un po’ più sommessamente, con calma… dopo quasi una buona mezz’ora dall’apertura.
Nel bicchiere ha mostrato ancora un rosso rubino, con leggera tendenza al granato, ma ancora molto carico di colore per la sua età.
Al naso ha mostrato un’eleganza sorprendente, quasi a ricordare i grandi bordeaux invecchiati, pur di grande intensità, con predominanza iniziale di tabacco, spezie, chiodi di garofano e caffè, seguiti poi dopo qualche tempo da prugna, mora e ciliegie, che si sono amalgamate perfettamente ai sentori terziari. Non una spigolatura, nessuna che potesse risultare fuori posto.
In bocca ha mostrato una freschezza e un’acidità ancora vivissime, incredibili in un vino di 25 anni. I tannini, ben presenti, sono risultati morbidi e delicati, lasciando primeggiare tutti i sentori di prugna, di ciliegia matura, grande tabacco e eccezionale speziatura. Anche qui, il cabernet ha mantenuto perfettamente integra la sua struttura, risultando forse più presente di quanto mi aspettassi, confermandomi anche alla fine un richiamo ai grandi rossi della rive gauche della Garonne.
Un vino che entra prepotentemente nella mia personalissima “top ten”, e che molto difficilmente ne uscirà!!!
Uno splendido portabandiera di un modo di fare vino che ha reso famosi nel mondo i grandi vignaioli toscani… Peccato però che anche loro abbiano, da qualche tempo, perso questa maniera di fare vino, complici un po’ i cambiamenti climatici, ma soprattutto la necessità di rendere i nostri vini più “appetibili” per i desideri d’oltreoceano.
Di solito non lo faccio per motivi di praticità e tempo, ma questa volta, data l’importanza della bottiglia che abbiamo degustato in ottima compagnia, non potevo non pubblicare anche una foto fatta col mio cellulare durante la serata.
Voi gustatevi gli occhi… Io intanto mi sono gustato il vino!!!
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